“Vedo attorno a me una corsa ai soldi, manca la spensieratezza nel fare arte”

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Lele Blade ha pubblicato lo scorso 25 ottobre il suo terzo album in studio Con I Miei Occhi: tra le collaborazioni Geolier, Simba La Rue, Niky Savage, Kid Yugi, Vale Lambo, Guè, Luchè, MV Killa, Yung Snapp. Qui l’intervista.

Lele Blade, 2024

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Lele Blade ha pubblicato lo scorso 25 ottobre il suo terzo album in studio da solista, Con I Miei Occhi, a tre anni di distanza da Ambizione. Il rapper, protagonista quest’anno anche con la partecipazione al 64Bars Live, ha raggiunto anche i primi posti della classifica FIMI con Heets, la collaborazione con Geolier, virale anche su TikTok con oltre 22mila video con il suono in sottofondo. Presenti come collaborazioni nel disco Kid Yugi, Luchè, ma anche Niky Savage, Guè e la SLF con Vale Lambo, Mv Killa e Yung Snapp. Qui l’intervista a Lele Blade.

Come nasce il titolo Con I Miei Occhi e com’è cambiato il tuo sguardo sulla musica negli ultimi anni?

Sono evoluto, anche perché si è evoluta la scena attorno a noi. Siamo diventati tutti un po’ più “cinici”, senza però tralasciare il lato artistico. Mentre per il titolo, l’idea era di raccontare la musica attraverso le immagini, quindi utilizzare l’occhio. Poi è uno degli elementi che mi piace di più, ce l’ho tatuato in più parti del corpo.

In Chell Che Sent, canti: “Addò stammo currenno tutte quante? Ch”e sorde annanz’a ll’uocchie nun se vede cchiù ‘o traguardo”. Sottolinea anche quanto è difficile separare il lato artistico, da quello commerciale della musica?

Rispecchia l’idea di dover essere più cinici, anche perché l’ambiente è saturo. Per questo motivo, vedo anche attorno a me una corsa infinita verso i soldi, soprattutto dei nuovi ragazzi.

E come si pensa un album in maniera “diversa”, com’è stato ragionato Con i miei occhi?

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Sicuramente con semplicità e facendo trasparire me stesso nei brani: credo sia l’unico modo per arrivare alle persone e mettersi di fronte a loro. Poi ho deciso, almeno rispetto al passato di lavorare in maniera diversa: non ci siamo mai fermati a produrre e fare canzoni, anche perché tutt’ora ci sono altri progetti in ballo.

Eri già sicuro della direzione che stava prendendo?

Avevamo già le idee chiare su quanti pezzi volevamo fare. Ci siamo presi del tempo per capire come volevamo farlo, anche perché poi lì entra in campo l’ispirazione che ha bisogno di trascinarmi. Sono diventato più produttivo, alcune volte anche a discapito dell’arte vera e propria, perché ci si sente ristretti nella produzione continua.

Credi si ricolleghi alla questione dell’ambiente saturo?

Ti rendi conto che se non produci, non riesci a stare sulla cresta dell’onda. Dall’altra parte, questo non ti permettte di vivere cose nuove.

Quando credi sia arrivato il momento, almeno per te, in cui tutto è diventato così veloce?

Quando suonavamo come Le Scimmie con Vale Lambo, vivevamo ancora tanto: eravamo ancora a Londra e ritornavamo molto spesso in Italia. Poi è arrivato Ninja Gaiden, il successo di Loco e tutto è cominciato a cambiare. Siamo diventati più presenti in studio e meno in strada.

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Senti di aver rinunciato a qualcosa?

Alcune volte mi privo di viaggi per poter lavorare a cose nuove. Dall’altra parte mi accorgo di quanto influisca sulla mia vita personale.

C’è qualcosa che ti manca più delle altre di quel periodo?

Sono sicuramente felice della vita che facciamo ora, dello stile di vita, degli amici che ho e dello studio che abbiamo costruito insieme. C’è però qualcosa che rimpiango del passato: forse l’incoscienza, quella cosa che ti permetteva di fare un pezzo e pubblicarlo senza pensare all’esito. La spensieratezza di fare musica giusto per farla; quella è la cosa che manca di più.

Qual è il tuo pezzo preferito del disco?

Odio, e come pensavo, è il pezzo che ha funzionato di meno. Dall’altro lato, è il pezzo che le persone che mi apprezzano riescono a sentire di più. È un brano in cui mi sono sfogato, dicendo cose che non direi mai in maniera pubblica.

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Perdette n’amico pe sempe, appena diciott’anne Fuje tanno che capette che ‘sta vita è sbagliata” in Chell che sent: un testo che richiama anche l’attualità anche più recente, come la morte di Arcangelo Correra delle scorse settimane. Credi che la musica possa diventare uno strumento attrattivo, ma anche educativo, per il pubblico più giovane?

Credo ci siano due modi. Da una parte, dare l’idea alle persone di poter fare, di potersi avvicinare all’arte praticamente. In questo contesto, attirare i giovani attraverso la musica, permettendogli di salvarsi da certi contesti, è un’opportunità: un po’ com’è successo al nostro collettivo. Dall’altra parte, non tutti si vogliono avvicinare all’arte per la sua espressività, oppure non tutti hanno l’opportunità di farlo.

Senti di avere una responsabilità nei confronti del tuo pubblico?

Crescendo, la sento, anche di dover dare dei messaggi giusti. Dall’altra parte non possiamo ignorare la realtà, e non mi sento di condannare o giudicare artisti che non lanciano messaggi così tanti positivi. L’arte è comunque espressione. A volte bisognerebbe pure farsi trasportare dai suoni per poterti mettere di buon umore, oppure magari trasformare una canzone dove si parla di una cosa negativa in energia.

Credi sia solo un problema attuale?

Assolutamente no, la musica in passato non è che lasciava tutti questi messaggi positivi. Dall’altra parte non mi sentirei di mandare solo quelli, anche perché sarebbe una realtà limitata.





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