Champions League, Italia al potere: dall’Inter alla Dea. Ora in Europa contiamo

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In Champions sono cambiate le gerarchie: il torneo lungo favorisce il nostro calcio e le squadre di A sono tornate in alto

Giornalista

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C’è stata un’epoca in cui le italiane nelle coppe erano come il cowboy con la pistola davanti a quello col fucile (e la stella di Real Madrid, Bayern Monaco, Manchester City, Psg sul petto): un cowboy morto. Tempi non lontanissimi, fino al 2022, quando la Roma ha vinto la tanto derisa Conference. Da allora cinque finali, e il fatto che ne abbiamo vinto una sola, l’Atalanta in Europa League, non stravolge la prospettiva. Siamo tornati. E la classificona della Champions propone gerarchie inimmaginabili anche per il più italianista dei critici: Inter seconda, Atalanta quinta, Milan con un calendario da magnifiche otto, Juve in piena corsa playoff (ma lancia segnali di “gestione”), solo il Bologna fatica ma la Champions non si “capisce” in un giorno. Lo scenario è cambiato e non è un caso: Madrid, Barça, Psg, City, Bayern sono in crisi o non riescono più a dominare, mentre noi, per la terza stagione di fila, siamo al vertice del ranking Uefa stagionale e secondi in quello assoluto. Eravamo precipitati al quarto posto. 

non allenanti?

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Questa storia del calcio italiano non allenante ha un po’ scocciato. L’intuizione di Capello era geniale, impossibile sintetizzare meglio la diseguaglianza di ritmo tra le italiane e inglesi, tedesche, spagnole. Ancora nella memoria il Pogba dello United che distrugge il Milan in Europa League. Oggi questa forbice non si vede. Il Real Madrid vince le coppe ma è in crisi e tutto il movimento spagnolo soffre il contraccolpo del dopo Messi-CR7, epoca che ha trascinato la Liga come negli Anni 80 Maradona, Platini e Zico lanciarono la A. Inspiegabilmente, la Premier non esprime in Europa il potenziale assurdo, forse perché non si rende conto che in Champions le strategie sono più evolute. La Germania è Bayern e Borussia, la Francia è solo il decadente Psg. 

addio paure

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Non saremo “allenati”, ma siamo camaleonti che si adattano. Se ci sfidiamo tra noi, tendiamo alla gestione. Quando gli altri alzano il ritmo ci adeguiamo. Sembra che la Serie A sia guarita dalla sindrome di coppa: Arrigo Sacchi a fine Anni 80 aveva trovato la cura da Nobel, poi siamo ripiombati nelle paure ancestrali. Oggi non siamo al cento per cento sacchiani, tranne Gasperini, ma i risultati non mentono. L’Inter fa pari con il Manchester City e batte Arsenal e Lipsia. Il Milan vince al Bernabeu (dopo i ko con Liverpool e Leverkusen). L’Atalanta pare ingiocabile. La Juve non segna ed è flagellata di guai, ma quello di Lipsia resta uno spettacolo di resistenza italiana e aggressione europea, si spera replicabile. Big in crisi Perché questa rinascita? Intanto, la fase di transizione attuale. City giù, forse perché ha raggiunto il limite di organizzazione oltre il quale il calcio si ribella. Barça bello e giovane, ma inesperto e con le casse vuote. Nel Real, segnali di fondamenta nobili che tremano. Bayern meno imbattibile. Psg da un torneo per niente allenante. Chelsea allo sbando (prima di Maresca), United idem nel dopo Ferguson, Arsenal e Tottenham mai vincenti… Situazione fluida, senza più dominatori, che si rispecchia nella mancanza di nuovi CR7 o Messi. Chi è l’erede? Mbappé, Vinicius, Bellingham, Rodri, Haaland: nessuno è veramente asceso alla destra dei padri. Il potere non è al popolo, ma è più democratico. 

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nuova formula

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Non va sottovalutata la nuova Champions che, anche psicologicamente, ha fatto saltare vecchi equilibri. Due partite in più, quattro per chi va ai playoff, ma sembrano venti per com’è stipato il calendario. La colpa? Degli ingordi, dei club che pagano stipendi e commissioni folli, dei giocatori, dei procuratori, della Uefa che non può dire troppi no perché minacciata dalle Superleghe. La nuova Champions è più bella perché nessuno sa gestirla. Nei tornei lunghi noi siamo più bravi che nell’eliminazione diretta. Li chiamano tatticismi, ma sono carattere, organizzazione, pensiero veloce. Nel nuovo torneo non si fanno calcoli, i pari sono scomparsi o sono quelli della disperazione tipo City-Feyenoord. Le big non si aspettavano questo equilibrio. Nella top 8 ci sono Inter, Liverpool, Barça, Borussia Le altre presunte grandissime tutte fuori. Come in un campionato, i valori alla fine vengono fuori, ma la classifica non è più scontata. 

allenatori top

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E noi? Prandelli da ct aveva lanciato un allarme prima di Capello, inorridiva per il “non facciamoci del male” evidente in campo. Quella stagione è finita. Non abbiamo Baggio e Rivera, ma la rivoluzione è partita in panchina: Sarri, Gasperini, Conte, Spalletti, Pioli, De Zerbi, Palladino, Italiano, Motta, Inzaghi, Baroni, Mancini in azzurro, tutti con il loro calcio dal baricentro e dal possesso più o meno alti, hanno impostato un calcio quasi immune da filo spinato, tatticismi, attese. Si gioca, si manovra, si rischia, ci si diverte, e le straniere che si aspettano le solite italiane barricadere restano sorprese. Soldi e idee C’è una differenza: la ricchezza. Loro hanno più soldi e si permettono più campioni. Noi recuperiamo con le idee di mercato (la Serie A oggi è una pista di decollo di talenti) e quelle tecnico-tattiche, ma siamo indietro dal punto di vista fisico. È il quarto mistero di Fatima: ci sono esseri umani in Serie A e in Premier, perché lì si allenano a mille all’ora e qui no? Comunque ci siamo. Sarebbe bello qualificare ancora la quinta, arrivare a tutte le finali, ma, con tutto il rispetto per De Coubertin, ancora più bello vincere la Champions che non sappiamo più com’è fatta. Quel giorno l’oscurantismo sarà finito. A giugno sono quindici anni senza Champions italiane: soltanto tra il 1969 (Milan) e il 1985 (Juve) è trascorso un periodo più lungo. Se non ora…


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