Lavis nel Primo Novecento: economia, guerra e memorie di un paese in trasformazione

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Lavis. Per comprendere Lavis nel primo Novecento è utile consultare le guide turistiche del tempo. Cesare Battisti, nella guida pubblicata nei primi anni del Novecento, scrive che il fulcro economico della borgata ruota attorno a due grandi settori: quello vitivinicolo e quello della bachicoltura. Nella sua guida, Battisti scrive: «Lavis conta parecchie industrie: una filanda a vapore (con proprio impianto elettrico per l’illuminazione) che dà lavoro a 200 operai e conta 92 bacinelli; diverse cantine che occupano circa 100 lavoratori; una fabbrica di biacca, qualche altra piccola industria: una fucina d’aratri per viti, laboratori di bottai e una promettente falegnameria». Riguardo al torrente Avisio, nella guida di Battisti si legge: «Nei tempi normali il letto è quasi completamente asciutto (molta acqua, per mezzo di un canale irriguo, viene adoperata nei campi e nei prati); nei tempi di pioggia, si trasforma in un’enorme fiumana».

Per quanto riguarda l’economia del baco da seta, nel 1907 a Lavis ci sono 957 allevatori, con una produzione totale di 54.403 bozzoli. All’alba del Novecento, Lavis non è tra i principali produttori di bozzoli. Qui di seguito una classifica dei paesi produttori: Vezzano: 1.749 allevatori; Rovereto-Lizzana: 1.715; Trento: 1.665; Borgo: 1.690; Pergine: 1.507; Cles: 1.507; Mezzolombardo: 1.414; Stenico: 1.365; Arco: 1.347; Mori: 1.269; Villa Lagarina: 1.268; Levico-Caldonazzo: 1.024; Tione: 1.015; Lavis: 957.

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La modernità e la prima guerra mondiale


A portare Lavis nell’era moderna è stato l’impianto elettrico, inaugurato nel 1904, che sfrutta la potenza idraulica dell’Avisio, all’ingresso delle rogge in Piazza Loreto, con una potenza di 100 cavalli. La centralina cesserà di operare nel 1924, in quanto non in grado di soddisfare le esigenze della comunità. Nel 1910, anno dell’ultimo censimento austroungarico, a Lavis si registrano 3.645 persone.

Fra il 1914 e il 1918, con lo scoppio del primo conflitto mondiale, la situazione cambia drasticamente: i mulini vengono requisiti dall’autorità militare austro-ungarica, il torrente Avisio diventa un campo per le esercitazioni militari, e il comando militare provvede alla costruzione di un nuovo ponte, più a ovest di quello di ferro, per migliorare i collegamenti tra le prime linee e le retrovie del fronte. Nelle campagne si costruiscono 8.400 mq di magazzini per le munizioni, 1.800 mq di magazzini per la macellazione e altri 6.500 mq di magazzini sempre destinati all’esercito.

Il Regno d’Italia


Con l’annessione del Trentino al Regno d’Italia, nel 1919, per la comunità di Lavis inizia una nuova storia.
Negli anni ‘20 e ‘30, Lavis è un grande centro per la produzione di vino e l’allevamento dei bachi da seta, con filande a vapore e altre industrie. I mulini e le segherie proseguono la loro attività, ma a partire dal primo dopoguerra, cominciano ad affermarsi anche nuove industrie: “Tessitura sete e coperte,” che nel 1923 occupa cinque operaie, e la fabbrica di pettini della Ditta Chesani di Trento. Nel 1923, si inaugura il “Pettinificio Trentino” sotto l’ex filanda Giampietro in Via Paganella, che poi diventerà Officine Meccaniche Avisio. Nel 1920 a Lavis si registrano cinque mugnai e tre segherie; nel 1922, la fucina del maglio diventa un mulino: nel 1927 si hanno due segherie e tre molini.

Anche negli anni ‘20 non mancano le alluvioni: nel 1926, il torrente Avisio esonda distruggendo gli argini destri; nel 1928, arriva all’altezza delle arcate del ponte dei Vodi. Nel 1934 viene inaugurato il nuovo ponte intitolato a San Giovanni Bosco.


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Segheria di Silvio Casagranda

La seconda guerra mondiale


Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto con la dichiarazione di guerra dell’Italia di Mussolini contro Francia e Inghilterra, si ripete un copione già in parte visto nel periodo 1914-1918. A partire dal 1940, inizia a porsi il problema dell’approvvigionamento alimentare, con viaggi in Veneto e in Lombardia alla ricerca di farina bianca e gialla: un dato che mette in evidenza la scarsa capacità del territorio di far fronte, sotto l’aspetto alimentare, al fabbisogno interno.

Nel dicembre 1943, la popolazione assiste al primo bombardamento alleato sul Ponte dei Vodi, soprannominato il “Ponte del Diavolo.” Durante la guerra, la popolazione è costretta a trovare rifugio anche nei Busi Canopi e nell’ultimo tratto della roggia nei pressi della ex centralina elettrica. Quello di gennaio 1945 è forse il bombardamento peggiore, con devastazioni e danni anche nel paese: del ponte San Giovanni Bosco, distrutte due case vicine alla Casa di Riposo e la segheria Casagrande, all’imbocco di Via Carmine.

Durante la guerra, il totale dei bombardamenti è di ben 240. Grande protagonista di questo periodo è, ovviamente, il rifugio antiaereo costruito sul Pristol.


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Le testimonianze

La parola ai testimoni: Cirillo Odorizzi, intervistato da Anna Brugnara nell’ambito del progetto, racconta che durante gli ultimi mesi di guerra, i tedeschi gestiscono la centralina della corrente elettrica per far arrivare l’elettricità in via Paganella alle Officine Meccaniche Avisio/Vapetic, dove lavorano operai e tecnici tedeschi per riparare autoblindo e creare anche pezzi nuovi per auto e fucili da spedire in Germania. Su questo aspetto, Cirillo Odorizzi, classe 1929, racconta che:

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c’era una centralina idroelettrica sulla roggia, durante la guerra, dove c’è la UniCredit, dove prima c’era una filanda. I tedeschi montarono una turbina per avere energia elettrica per l’Officina Meccanica Avisio O.M.A. (Vapetic), ditta che lavorava nel rigenerare i motori, riparando i motori guasti dell’esercito tedesco provenienti da fuori regione. Si trovava in Via Paganella un grande edificio a forma di ferro di cavallo in mattoni a vista (tuttora esistente) dove arrivava l’energia elettrica prodotta dalla suddetta centralina. Ci lavoravano molti lavisani! Fu anche sabotata e messa fuori uso. Mio zio era un capo della Edison e seguì la faccenda quando fu bombardato il traliccio della corrente elettrica, che interruppe il lavoro

Cirillo Odorizzi racconta anche un altro aneddoto, stavolta riguardante le regge:

Era il 1943. Non c’era luce nelle strade a causa dei bombardamenti; tutto doveva essere spento nottetempo, e a gennaio è buio fino alle 8.00. L’acqua scorreva nelle rogge perché, se no, ghiacciavano e i pompieri rompevano il ghiaccio sul fondo affinché non si chiudessero a causa del freddo. Il Bepi Michelon era lì che lavorava vicino alla roggia in Via Cavour e trovò una donna annegata. L’anziana signora si ricostruì poi: era andata a messa prima alle ore 5, poi era passata dal macellaio a fare la spesa e, uscita dal negozio, voleva imboccare il ponticciolo che la portava a casa (ora ferramenta Lona), ma nel buio sbagliò e cadde nella roggia, morendo assiderata e annegata. Più a valle, il Bepi la ritrovò, avendo un campo adiacente alla roggia. Ricordo che aveva le braccia alzate

Bibliografia di riferimento


Aurelio Rasini, Lavis nel 1789 con un saggio di Annali Lavisani fino al 1980, Associazione Culturale Lavisana, Circolo Fotoamatori, 1999.
Andrea Casna, Lavis 1914-1918. Una comunità nelle retrovie, Annali, Museo Storico Italiano della Guerra n. 31/2023.
Casna, Brugnara, Marcon, Lavis immagini che fanno storia, Comune di Lavis, Trento, 2010.
Albino Casetti, Storia di Lavis: giurisdizione di Königsberg-Montereale, Società di studi trentini di scienze storiche, Trento, 1981.
Cesare Battisti, Da Trento a Malé, Edizioni Panorama, 1909
Giovanni Gregorini, L’agricoltura trentina, in (a cura di) Maria Garbari, Andrea Leonardi, Storia del Trentino, Volume V, L’età contemporanea 1803-1918, Il Mulino, 2003, Bologna.
Adriano Mattioli, La leggenda dei “Vodi”, Alto Adige, 28 luglio 1979, Biblioteca Comunale di Lavis, Rassegna stampa, 1979.
Fonti di archivio
Ecomuseo Argentario, Archivio Memoria, Le vie dell’acqua e dell’uomo, Cirillo Odorizzi, intervistato da Anna Brugnara il 13 gennaio 2024.



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