ISRAELE – LIBANO
Il cessate-il-fuoco tra Hezbollah e Israele è entrato in vigore dopo 14 mesi di guerra e quasi tre mesi di un’escalation militare senza precedenti. Migliaia di civili tentano ora di tornare alle loro case, anche se distrutte, nel Sud del Libano.
Mentre osservatori, analisti e politici si interrogano sulle numerose insidie contenute nell’accordo, che lascia molto spazio alle libere interpretazioni delle parti coinvolte, ci si chiede quanto la sospensione delle ostilità possa fare da base per un’intesa politica sostenibile. O se invece non sia altro che una semplice – seppur necessaria – pausa di una guerra destinata a continuare a lungo.
Con tali pensieri in mente si osserva l’orizzonte da Haifa a Tiro, racchiuso nel colpo d’occhio che si ha salendo sulla Collina della cenere (Tallet Irmad), a 400 metri sul livello del mare. Siamo a due passi dall’antica fortezza di Shama e dalla base militare Onu 2-31, che ospita il quartier generale del contingente italiano schierato nella missione Unifil nel Sud del Libano. È la base dove sono stati lievemente feriti quattro soldati italiani.
Sin dall’antichità le sommità di Shama e della Collina della cenere hanno costituito un obiettivo militare strategico per controllare la strada costiera, che da Haifa sale verso Tiro, uno dei tratti della millenaria via mediterranea che da Istanbul porta al Cairo…
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ITALIA – GIAPPONE
Lunedì il ministro della Difesa dell’Italia Guido Crosetto e il ministro degli Esteri del Giappone Takeshi Iwaya hanno firmato l’Acquisition and Cross-Service Agreement (Acsa), un accordo militare per rafforzare la cooperazione tra le Forze armate di Roma e Tokyo. I due paesi condivideranno carburante, munizioni, cibo e servizi. Poi adotteranno misure al fine di approfondire la cooperazione in materia di sicurezza, perché “la logistica è il cuore di ogni operazione moderna” come ribadito da Crosetto.
L’Italia si conferma attore capace di estendere la sua presenza nel mondo e di tessere rapporti bilaterali con paesi strategici, specie dopo il mancato rinnovo dell’accordo sulle vie della seta con la Repubblica Popolare Cinese e in un periodo storico tanto particolare. Da Il Milione di Marco Polo fino al primo accordo datato 1886 e all’asse con Berlino nella seconda guerra mondiale, i buoni rapporti tra Roma e Tokyo non sono cosa nuova. Ora però si stanno rafforzando. Giorgia Meloni e Fumio Kishida, ex primo ministro giapponese, si sono incontrati quattro volte in poco più di un anno tra Roma, Dubai, Hiroshima e Tokyo. Accogliendo “con favore la presenza italiana nell’Indo-Pacifico”, Kishida aveva definito i due Paesi “importanti partner strategici che condividono valori e princìpi come libertà, democrazia, diritti umani e Stato di diritto”. Per la prima volta dopo 27 anni, nel giugno 2023 la nave Francesco Morosini della Marina Militare ha visitato Yokosuka e lo scorso agosto il veliero Amerigo Vespucci ha sostato nel porto di Tokyo per cinque giorni.
Il nuovo primo ministro nipponico Shigeru Ishiba intende dare continuità a quanto costruito finora. Ecco perché, specie per il Giappone, l’Acsa va ben oltre il solo aspetto militare. Innanzitutto, va affiancato a un’altra importante notizia della settimana: il governo britannico ha deciso di restare nel Global Combat Air Programme, il programma di sviluppo di jet da combattimento con Giappone e Italia. La permanenza londinese non era scontata, data la posizione del governo laburista guidato da Keir Starmer. Tokyo può così tirare un doppio sospiro di sollievo. Dopo il cambio di governo da Kishida a Ishiba – con il conseguente indebolimento del Partito liberaldemocratico alle ultime elezioni e la perdita della maggioranza assoluta – e con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che pone un’incognita sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo, il Giappone ha estremo bisogno di confermarsi alleato imprescindibile per gli occidentali. Specie perché i problemi interni (simili a quelli italiani) non mancano: calo demografico, inflazione e scarsa spesa pubblica hanno indotto il governo ad annunciare un pacchetto di stimoli all’economia da 140 miliardi di dollari. Servendosi di Roma e Londra, Tokyo strizza l’occhio a Washington, si conferma attore regionale capace di mettere i bastoni tra le ruote alla Cina e cerca di ritagliarsi più spazio nell’Indo-Pacifico. In breve, si prepara al Trump 2.0.
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CONGO – RUANDA
Qualcosa sembra muoversi, seppur con discrezione e con un certo affidamento alla fortuna. A Luanda (Angola) si sono incontrati i ministri degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e del Ruanda, dove è stata siglata un’intesa programmatica per la cessazione del conflitto armato in corso nelle regioni orientali dell’ex Zaire. La notizia arriva a una settimana dalla firma di un altro accordo con la missione delle Nazioni Unite in Congo (Monusco) per il monitoraggio della tregua. Insomma, il quadro istituzionale per la fine dei combattimenti prende forma. Sul contenuto del documento vige il più stretto riserbo, ma considerando l’andamento delle operazioni sul campo si possono trarre alcune conclusioni.
La prima, più pessimistica, riguarda la reale possibilità di implementare effettivamente l’intesa. I combattimenti degli ultimi tre anni hanno (ri)aperto un vaso di Pandora fatto di milizie e interessi iperlocalizzati che sarà difficile ricomporre. Nei territori orientali della Rdc opera una galassia di gruppi armati che va dalle milizie filogovernative dei wazalendo, passando per un nutrito gruppi di mercenari stranieri e l’M23 supportato dal Ruanda. Anche se queste organizzazioni servono le agende dei belligeranti, è abbastanza dubbio che questi possano effettivamente controllarli.
In secondo luogo, persiste il tema dello smantellamento delle milizie hutu da parte di Kinshasa, condizione imprescindibile per Kigali per il ritiro delle proprie forze. È lecito dubitare della volontà della Rdc di privarsi di un asset che si è dimostrato utile nel contrastare l’avanzata dell’M23 e che rappresenta una forza di deterrenza.
Questo porta alla terza considerazione: gli interessi di lungo periodo. Il presidente congolese Félix Tshisekedi vuole modificare la costituzione per superare il limite dei due mandati. Ergersi come pacificatore delle province orientali potrebbe aiutarlo a vincere la rovente opposizione interna. Sul versante ruandese,il presidente Paul Kagame vuole chiudere il conflitto per concentrare le proprie Forze armate in Centrafrica e Mozambico – dove sono ben pagate da diversi attori extra africani – e porre fine a un avventurismo che ha incrinato le relazioni con Europa e Stati Uniti. Infine, l’Angola di João Lourenço vuole accreditarsi come attore chiave per la stabilità regionale in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. L’accordo è scritto, ma la pace resta un’incognita.
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