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Dopo la Great Wall, la “Green Wall”: la Cina ha realizzato un’altra Grande Muraglia, stavolta costruita non in mattoni bensì con migliaia di chilometri di vegetazione.
Non per respingere l’invasione dei barbari, ma per fermare l’avanzata del Taklamakan, il secondo deserto mobile più grande del mondo. Una distesa di sabbia grande quanto la Germania che occupa per buona parte la regione autonoma dello Xinjiang, nell’estremo ovest del paese. E che ora è interamente cinta da pioppi, salici e altri arbusti.
L’IMPRESA
L’opera è stata completata il 28 novembre con la deposizione dell’ultimo lotto di piante nella contea di Yutian, al limite meridionale del deserto. Un’impresa colossale che ha richiesto oltre quarant’anni di lavori e l’impiego di centinaia di migliaia di persone. Lunga 3.050 chilometri, la “muraglia verde” contribuirà ad arrestare l’espansione del Taklamakan, che come tutti i deserti mobili è caratterizzato da frequenti tempeste di sabbia in grado di influenzare le condizioni meteorologiche, l’agricoltura nonché la salute umana.
Come spiegato ai media da Lei Qiang, ricercatore presso l’Accademia cinese delle scienze, la cintura vegetale interagirà con altre misure di controllo della sabbia basate sull’energia solare, di cui il Xinjiang – che ospita il più grande parco fotovoltaico del Paese – ha ampia disponibilità.
LA FERROVIA
Nel 2022, è entrata in funzione la tratta Hotan-Ruoqiang, parte di un collegamento ferroviario che circumnaviga il Taklamakan per quasi 3.000 chilometri, favorendo l’integrazione della regione occidentale con il resto del Paese. La ferrovia, la prima al mondo a perimetrare un deserto, ora collega varie città trasportando minerali e specialità locali, come noci e datteri rossi, al resto della Cina.
Quanto realizzato dal gigante asiatico viene osservato con interesse anche in altri Paesi. Nel Sahel, ad esempio, l’Unione africana con il supporto delle più importanti organizzazioni intergovernative al mondo sta costruendo (non senza difficoltà) una cintura alberata progettata per attraversare in orizzontale il continente africano. Dal costo di 33 miliardi di dollari, entro il 2030 dovrebbe raggiungere un’estensione di circa 8mila chilometri di lunghezza e 15 chilometri di larghezza.
Va detto che l’efficacia del sistema della piantumazione non trova tutti concordi. Nemmeno in Cina. A livello nazionale, secondo i dati ufficiali, la superficie desertica è diminuita solo marginalmente rispetto al totale, dal 27,2% di dieci anni fa all’attuale 26,8%. E l’aumento delle piogge potrebbe aver giovato più della “muraglia verde”. Senza contare che, come suggerito da vari esperti, i nuovi alberi rischiano di assorbire grandi quantità di acqua sotterranea, aggravando la scarsità idrica delle regioni settentrionali.
Nello Xinjiang prevale l’ottimismo: secondo le autorità forestali, i boschi di pioppi sul margine settentrionale del Taklamakan saranno ripristinati tramite la deviazione delle acque alluvionali, mentre si procederà a creare nuove aree verdi per proteggere terreni agricoli e frutteti sul margine occidentale. E poi non è solo questione di lotta alla desertificazione. Il progetto si stima favorirà anche l’economia locale. Come riporta il sito dell’Onu, citando il ministero degli Esteri cinese, «i residenti rurali sono in grado di aumentare il reddito e uscire dalla povertà attraverso la silvicoltura e la frutticoltura». Un aspetto non trascurabile per la regione autonoma, dove le tensioni etniche con le minoranze musulmane sono da sempre un problema.
IL PROGRAMMA
Lo Xinjiang non è l’unica zona desertica della Cina a puntare sulla piantumazione. La “grande muraglia verde” del Taklamakan rientra infatti nel “Programma forestale delle tre cinture di protezione del nord”, un piano avviato nel 1978 teso a favorire il rimboschimento delle aree settentrionali della Cina, dall’estremo ovest fino alla Mongolia interna, più a Oriente. Solo quest’anno Pechino ha stanziato per il progetto 1,7 miliardi di dollari. Entro il 2050, data conclusiva dell’opera, si prevede saranno ripristinati 4 milioni di chilometri quadrati di foreste in tredici province cinesi, pari al 42% della superficie complessiva del Paese.
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