Nuovo Giornale Nazionale – IL VANGELO SECONDO DE LUCA

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di Giorgio Cattaneo

POVERI RAGAZZI: IL VANGELO SECONDO VINCENZO (DE LUCA),
CHE SI OPPONE ALLA ROTTAMAZIONE QUOTIDIANA DEI GIOVANI
E SARÀ ROTTAMATO DAI REPLICANTI DELLA POST-DEMOCRAZIA

Ragazzi, tornate in voi: siate umani. Voi maschi non lasciatevi sottomettere del mito idiota della forza, dalla suggestione del branco. Non trasformatevi in scimmioni violenti e drogati, pronti alle peggiori bravate sessiste. Quanto a voi ragazze, smettete di pensare che impiastrarsi il viso, gonfiarsi di botulino e idolatrare il look sia l’unico modo per farsi accettare dal mondo. L’esibizione della forza muscolare? Va letta come catastrofica fragilità interiore. L’estetica femminile rigidamente canonizzata dai social? Vuota bellezza di plastica, solo apparente. In pratica: due schiavitù parallele, che minacciano i giovanissimi. Modelli deprimenti, imposti dal potere del marketing e oggi subiti senza fiatare da milioni di potenziali baby-schiavi.

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Questo il clamoroso grido di dolore di Vincenzo De Luca, classe 1949, di fronte a una platea di giovanissimi studenti napoletani. Una strigliata affettuosamente paternalistica, prerogativa semmai dei genitori (troppo spesso assenti). L’accorato appello ai fondamentali dell’etica? Uno se lo aspetterebbe da educatori e da eventuali autorità morali riconosciute, posto che ne esistano. Il cielo della retta coesistenza? Toni, al limite, da presidente della Repubblica, più che da semplice presidente di Regione. Eppure, nel vuoto cosmico in cui viviamo – ragazze morte per una rinoplastica andata storta, tredicenni in coma etilico al pronto soccorso – le parole di De Luca (antiche, ma drammaticamente attuali) hanno lasciato il segno.

Carismatico e controverso, De Luca: accentratore, retorico e verbalmente incendiario. Canzonato dalla celebre imitazione di Crozza, è stato ultimamente riabilitato dall’inatteso endorsement di Oscar Farinetti (che nel leader campano vede l’ultimo alfiere del sano pragmatismo della sinistra di un tempo, ispirata da valori solidi). Per inciso: De Luca si è mostrato insofferente verso le retoriche anti-russe e ha condannato la “dismisura” israeliana a Gaza. La stessa biografia dell’ex super-sindaco di Salerno, oggi dominatore dell’intera Campania, racconta di un’interminabile gavetta nel Pci berlingueriano: migliaia di chilometri sui treni, eterne riunioni nel nebbioso Nord Italia operaio e sindacale. In altre parole: un brontosauro della Prima Repubblica, rimasto nelle seconde file e poi affermatosi alla distanza grazie al mestiere, all’esperienza, al carattere esuberante e, soprattutto, al forte radicamento elettorale sul suo territorio.

Da quello stesso territorio, grazie al vincolo che impone di non superare il secondo mandato, ora De Luca verrebbe sfrattato – contro la sua volontà – da una grigiastra coalizione formata da burocrati del Pd e grillini “vedovi” di Grillo, con al seguito pure i verde-sinistri che hanno santificato la tratta dei migranti e trasformato in europarlamentare un’eccellenza italiana come Ilaria Salis. Come De Luca, anche la Lega si oppone al divieto di ricandidarsi: ai sindaci dei piccoli Comuni è appena stato concesso di partecipare a oltranza alle elezioni. Il caso regionale tocca da vicino lo stesso Veneto, dove il “Doge” leghista Luca Zaia (largamente sostenuto dagli elettori) sarebbe costretto a restare a casa.

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La principale avversaria di De Luca si chiama Elena Ethel Schlein, detta Elly. Nata a Lugano nel 1985, dispone di tripla cittadinanza: svizzera, italiana e statunitense. Si fece notare qualche anno fa, quand’era vicepresidente della giunta regionale emiliana, per il suo appoggio all’effimero movimento delle Sardine, nato a Bologna al solo scopo di contrastare Salvini, allora ingombrante vicepremier e ancor più discusso ministro dell’interno. Gli unici veri trascorsi politici della Schlein erano statunitensi: già nel 2008 si era impegnata come volontaria, a Chicago, per la prima elezione di Barack Obama.

Suo padre, il politologo Melvin Schlein, è un accademico statunitense di origine ebraica ashkenazita: gli avi paterni venivano da Žovkva, vicino a Leopoli, nell’Ucraina storicamente polacca. Emigrarono negli Usa cambiando il proprio cognome originario, che era “Schleyen”. La madre di Elly è invece l’italianissima Maria Paola Viviani, ordinaria di diritto all’Università dell’Insubria (Varese e Como). La professoressa è nipote dell’avvocato antifascista Agostino Viviani, che fu senatore del Psi e membro laico del Csm, in quota a Forza Italia. Elly ha un fratello matematico, Benjamin, mentre la sorella Susanna è primo consigliere diplomatico all’ambasciata italiana di Atene.

Presente a intermittenza nel Pd dopo aver rumorosamente contestato Renzi, la giovane Elly (bisessuale dichiarata, dunque amata dai seguaci dell’ideologia gender fluid) sembra l’ennesimo clone della generazione “woke”: ligia all’eurocrazia tirannica e devota alla Nato, protettrice di ogni migrante, fedele alla teologia climatica promossa dall’élite. Il mainstream di riferimento è quello del politicamente corretto: l’enfasi sui diritti civili, e magari pure quelli ambientali, aiuta a dimenticare i diritti sociali, in un paese che si sta impoverendo alla velocità della luce, tra sacche oceaniche di precariato.

Da un paio d’anni alla guida del Pd, Elly Schlein sembra essere ascesa al trono anche grazie all’altrui disperazione: ha infatti ereditato i rottami del partito di Enrico Letta, Piero Fassino, Paolo Gentiloni e altri analoghi statisti. Eppure, nel settembre 2020, la giovane Schlein ebbe il coraggio di pronunciarsi contro il taglio dei parlamentari, referendum costituzionale promosso dal grillino Riccardo Fraccaro, fedelissimo di Di Maio. La proposta risaliva al governo gialloverde, cioè al pericolante connubio tra il ruspante “sovranismo” leghista e l’antipolitica professata dagli adoratori di Grillo.

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Nei fatti: l’ennesima mortificazione della funzione politica, proprio mentre l’elettorato ormai diserta in massa le urne. Lontano iniziatore della storica crociata neoliberista che conduce direttamente all’astensionismo fu Marco Pannella, con le sue filippiche contro la “partitocrazia”. Si cominciò così a delegittimare il sistema democratico dei partiti, poi travolto da Mani Pulite. Sistema smantellato e rimpiazzato direttamente con la plutocrazia esplicita, tramite emissari di rango come Ciampi, Monti, Dini, Amato, Prodi e Draghi.

Lo stesso Napolitano concorse alla detronizzazione di Berlusconi, mentre Mattarella (nel silurare Paolo Savona) fece eco al tedesco Günther Oettinger, sostenendo che “i mercati”, ovvero gli oligopolisti della finanza internazionale, pesano più del voto democratico degli elettori. Dai tempi della pannelliana guerriglia mediatica contro la “partitocrazia”, la politica nazionale non ha fatto che rassegnarsi al peggio, piegandosi – com’era scontato – ai grandi poteri sovrastanti.

I partiti? Letteralmente dissoltisi, ridotti a comitati elettorali coordinati dal leader di turno. A rubare la scena è sempre un personaggio mediatico, che pare spuntato dal nulla. Conquista la vetta in un battibaleno, per poi eclissarsi altrettanto rapidamente. Vincenzo De Luca incarna l’esatto opposto: la lentezza. Sarà anche un autocrate, poco disposto a farsi da parte. Ma ha comunque alle spalle decenni di lavoro oscuro: quello richiesto dai partiti che furono, che in quel modo riuscivano a selezionare dal basso una classe dirigente.

Saltando quel passaggio, il risultato è disastroso. Lo dimostra plasticamente l’aspetto più deteriore del “pannellismo”: la reincarnazione di Emma Bonino sotto forma di imbarazzante pedina di George Soros. Da trent’anni siamo alle liste-annuncio, ai candidati-star. Sventrati i partiti, è rimasto solo l’advertising. Gli slogan? Mutuati anch’essi dal potere superiore, tecnocratico e finanziario. Solo due mandati, poi tutti a casa? Così non può mai crescere, una classe dirigente: non ne ha il tempo.

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Agli eletti, quindi, non resta che compiacere il leader del momento, che a sua volta (nella sua brevissima vita politica) si chinerà di fronte a poteri molto meno visibili di quelli “partitocratici”. E soprattutto: non avrà la minima incidenza sugli eventi. Il politico ratificherà qualsiasi diktat, a partire dagli euro-bilanci. Litigherà sul nulla, finendo sui giornali, ma obbedirà (tacendo) alle grandi direttive: sulla pace o la guerra, la salvezza o la dannazione. Non conterà nulla, il deputato post-partitocratico, per una semplice ragione: non avrà un soldo in tasca.

Tra tanti, il grande scandalo che azzera ogni sovranità è proprio quello finanziario: senza potere di spesa, qualunque governo (ultimo, quello attuale) finirà col disputarsi briciole, contese a questo o quel ministero. Rimangono tabù sia l’euro-rigore che l’intangibilità della Bce. Capito questo, le schermaglie tra Meloni e Schlein sono barzellette. Salvini contro Landini? Entrambi fingono di non conoscerlo, il vero problema. Non è più di moda, sparlare dell’euro-sistema. Meglio andare avanti così, prendendo in giro tutti. E senza nemmeno sfiorare il terreno dell’antropologia sociale, come invece ha fatto l’attempato De Luca in quel suo slancio dignitoso, quella sua incursione in territori che la politica di oggi considera proibitivi.

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