“Avevo fretta di farlo, ma non a tutti i costi”

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Un viaggio intenso ed appassionato attraverso l’Italia del Novecento con lo scopo, altissimo, di raccontare la vita di Tommaso Maestrelli, un uomo che ha cambiato per sempre il modo di concepire il calcio in Italia.

Parliamo del film documentario “Tommaso – Maestrelli e il calcio a colori” diretto da Francesco Cordio e Alberto Manni prodotto da Groenlandia. Opera che arriva in anteprima su RaiPlay e che andrà in onda in chiaro, nella versione da 55 minuti, il 6 gennaio alle 19.00 su Rai 2.

A distanza di 48 anni dalla sua scomparsa, Tommaso Maestrelli muore il 2 dicembre 1976,  persiste nel cuore di tantissimi tifosi e appassionati di calcio un ricordo che fa breccia ed emoziona. Un ricordo che, peraltro, compenetra in modo trasversale al tifo e alle passioni.

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Tommaso Maestrelli l’underdog

È il racconto della storia di un Uomo, di un allenatore,  che non parte favorito, oggi si direbbe con un termine mutuato dello sport inglese, un “underdog”, ma capace di conquistare lo Scudetto del 1974 con la Lazio. Una squadra che appena 24 mesi prima militava in Serie B, una squadra forte, intensa, moderna, turbolenta e composta da tanti calciatori, al tempo sconosciuti, ma capaci di sfidare il dominio delle squadre del Nord.

Il titolo del documentario riflette, a pieno, un passaggio epocale per l’Italia, quella del bianco e nero al colore, parliamo di tv ma anche del livello sociale e culturale del Paese e ovviamente del livello sportivo dove la Lazio “olandese” mette in riga il Milan e la Juventus all’”italiana”.

Un’opera che nasce grazie alla generosità di Massimo, l’unico figlio ancora in vita, che si è messo in gioco in prima persona, rendendo possibile scoprire e raccontare aspetti inediti e intimi della vita di Tommaso Maestrelli

E per cercare di capire ogni dettaglio dell’opera e il senso profondo del racconto dell’Uomo Maestrelli, oltre il campo e il mito, noi di Social Media Soccer lo abbiamo raggiunto per un’intervista esclusiva. Ecco cosa ci ha raccontato.  

L’intervista di SMS a Massimo Maestrelli

Che corde hanno toccato gli autori per coinvolgerti nel progetto?

“In realtà mi ha coinvolto un produttore che, a sua volta, mi ha presentato Francesco e Alberto. Solo che poi  questo produttore si è tirato indietro mentre gli autori hanno continuato a credere nel progetto. E sono stati loro, in un modo quasi incredibile, a proporlo a Matteo Rovere di Groenlandia. Questo film nasce dalla voglia, incredibile, che avevamo con il mio gemello Maurizio (scomparso nel 2011 per un male incurabile ndr) di fare un libro e un film su Babbo. Volevamo lasciare un segno ai nostri figli fargli conoscere l’Uomo Tommaso Maestrelli. Avevo fretta di farlo perché sono l’ultimo che ha vissuto la vicenda e che può raccontarla in prima persona. Ma non volevo farlo a tutti i costi. Un progetto su Babbo mi è stato proposto almeno 20 volte. Ma volevo farlo con un partner importante, con autori coinvolti a fondo. Avrei aspettato anche altri 10 anni pur di farlo bene. L’idea che avevo in testa era quella di raccontare l’uomo, il giovane, il ragazzo, le sue inclinazioni le sue passioni oltre il calcio. E con Francesco e Alberto c’è stata subito sintonia. Ci siamo piaciuti subito. Ad entrambe ho regalato una  cravatta di Babbo, non ne ho molte, ma ho sentito di poterlo fare. E il giorno della presentazione del film, Francesco Cordio, quella cravatta, la indossava sul palco”.

E a proposito delle passioni e inclinazioni di Maestrelli, si conosce poco del suo percorso da Partigiano nella Lotta di Liberazione. Ci racconti qualche dettaglio?

“Babbo a 22 anni dirigeva 360 soldati e con loro è stato protagonista della guerra di liberazione della Dalmazia dai nazisti. La sua leadership, la sua predisposizione al comando nascono da quell’ esperienza. E da lì nascono anche il senso della Giustizia e della necessità di fare sempre il Bene. Quando gli parlavamo di guerra lui, che era sempre solare e sorridente, si incupiva e si intristiva. Scendeva un velo. Una volta gli chiedemmo esplicitamente se aveva ammazzato qualcuno, e non ci disse nulla. Fu in quel contesto che Mamma ci chiese di evitare di parlare di quella triste esperienza della Vita di Babbo. Esperienza alla quale si intrecciava anche la vicenda dalla prigionia e del fatto che una ragazza slovena, della sua età, lo aveva nascosto per salvarlo dai tedeschi. Tutti particolari che era importante far emergere e non disperdere”.

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Il titolo del documentario rimanda al passaggio, epocale, dal bianco e nero al colore perché proprio questo richiamo?

“Babbo amava il bel gioco, amava giocare per vincere ma soprattutto per convincere. Se vinceva 1-0 e la squadra non aveva giocato bene non era soddisfatto, non gli bastava. Voleva anche il lato estetico del calcio. A Reggio Calabria, ad esempio, si presentò con il 4-3-3, tre attaccanti in quel calcio erano un’eresia. Ma lui si documentava su tutto, studiava tutto, leggeva di tutto sul calcio. E ovviamente si erano imbattuto nel nascente calcio totale dell’Olanda. Un calcio che mescola con altri suoi amori sportivi creando la miscela di un calcio “a colori”. Restano epici gli scontri con il calcio all’italiana, pragmatico, di Nereo Rocco del Milan con cui peraltro si sentiva spesso e si confrontava spesso. Si stimavano molto”.

Rocco che, leggenda vuole, sia stato in ballo proprio con  Tommaso Maestrelli per la guida della Nazionale dopo il disastro di Germania 1974. Cosa c’è di vero?

“Nel film Gigi Martini lo dice esplicitamente. Babbo un giorno gli chiede di accompagnarlo a Firenze dove deve vedere una persona importante. Lui lo accompagna e alla fine del viaggio si ritrova a Coverciano dove lo aspetta Artemio Franchi, il Presidente della FIGC. Franchi gli propone la guida dell’Italia ma Babbo risponde che la sua “Nazionale” era la Lazio. Però il discorso non si chiude del tutto. Quando stava meglio, dopo l’operazione, decide con Mamma che non avrebbe più allenato una squadra di club perché lo stress poteva sollecitare il risveglio della malattia. Ma concordano anche che se fosse arrivata la chiamata della Nazionale, che non richiedeva lavoro quotidiano sul campo, sarebbe stato diverso. Franchi lo voleva in Nazionale per le qualificazioni ai mondiali di Argentina 1978 che iniziavano a settembre 1976. Ma accadde che nella stagione 1975-1976 la Lazio si trova a lottare per non andare in Serie B e Babbo sceglie, con Mamma contraria, di nuovo la “Sua” Nazionale. La Lazio. E la porta alla salvezza con il famoso pareggio di Como del maggio del 1976″

Oggi sarebbe possibile un’impresa sportiva come quella di Tommaso Maestrelli?

“No, penso di no. L’ultima impresa simile a quella della Lazio del 1974 è il Leicester di Ranieri che in due anni passa dalla Championship alla vittoria della Premier League. In Italia addirittura torniamo al Verona del 1985 che in tre anni passa dalla Serie B allo Scudetto. Ma sono casi unici, irripetibili. Perché l’impresa non è solo vincere lo Scudetto ma farlo partendo da dove è partito lui.  È come se oggi, in due anni, il Sassuolo sale dalla B e arriva a vincere il Campionato”.

La battuta finale è sull’uomo che ha scelto Maestrelli per guidare la Lazio, Umberto Lenzini. Che rapporto era?

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“C’era grande stima, un rapporto schietto diretto costellato da divertenti scaramanzie come la partita a scopa prima della gara di Campionato. Alla fine si firmavano a vicenda le banconote a seconda di chi vinceva, ne conservo diverse, e in base ai risultati reali del campo scattavano siparietti divertenti. Sapendo poi che Babbo a carte era un fenomeno e che a volta si lasciava vincere perché magari nel precedente k.o. alla Lazio era andata bene. Lenzini fu bravo a scegliere Babbo nonostante la retrocessione con il Foggia. Lo porta in biancoceleste contro ogni previsione e contro ogni logica. Ma Babbo sapeva in cuor suo che sarebbe successo qualcosa di importante”.  

 

(Photo by Marco Rosi – SS Lazio/Getty Images)





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