Privilegio al credito dello studio solo se è remunerato il singolo professionista

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La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 29371/2024, si è occupata del credito professionale fatto valere da uno studio associato di professionisti nei confronti di un cliente dichiarato fallito e dell’applicabilità, o meno, a tale credito, del privilegio previsto, con riguardo alle retribuzioni dei professionisti, dall’art. 2751-bis n. 2 c.c.

La Suprema Corte ha ribadito, in primo luogo, che lo studio professionale associato, ancorché privo di personalità giuridica in senso stretto, rientra comunque tra quei fenomeni di aggregazione d’interessi ai quali la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici.

Inoltre, gli accordi tra gli associati – disciplinanti l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute (art. 36 c.c.) – possono attribuire all’associazione stessa la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità dei rapporti giuridici, che vengono poi delegati ai singoli associati. Ove questo avvenga, lo studio associato è legittimato a far valere in giudizio i crediti maturati a fronte delle prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente.

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Nel rispetto di quanto disposto dagli artt. 2229 ss. c.c., comunque, la prestazione deve essere svolta dal singolo associato che abbia i requisiti imposti a tal fine dalla legge, fermo restando che la titolarità dei diritti di credito derivanti da tale attività può essere attribuita allo studio associato.

Nel caso di specie, era stato dimostrato in giudizio che:
– la prestazione d’opera professionale era stata personalmente effettuata da uno degli associati a questo fine appositamente incaricato;
– il compenso maturato a fronte di tale prestazione, come previsto dagli accordi tra gli associati e dal contratto di conferimento dell’incarico, spettava allo studio associato.
Si è, quindi, stabilita la legittimazione dello studio associato a far valere giudizialmente il credito in questione e ad insinuarsi al passivo del cliente fallito.

La Cassazione prosegue, poi, con la valutazione in ordine all’applicabilità, al credito in questione, del privilegio generale mobiliare previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c.
Sul punto, si precisa che, in tanto il credito dello studio associato può ritenersi assistito dalla garanzia in questione, in quanto l’associazione professionale deduca e dimostri in giudizio che il credito – oltre a trarre origine dalla prestazione d’opera svolta personalmente, in via esclusiva o prevalente, da uno dei professionisti associati a tal fine incaricato (circostanza incontestata nel caso di specie) – sia, in tutto o in parte, “di pertinenza” dello stesso professionista che ha eseguito la prestazione.

In altri termini, occorre verificare che il compenso maturato, pur confluendo nel patrimonio dell’associazione in forza degli specifici accordi tra gli associati, costituisca – anche solo in una percentuale, e nei limiti di essa – la retribuzione specificamente spettante all’associato che ha effettuato la prestazione e, in quanto tale, vada a remunerare, anche se a titolo di utili, lo specifico lavoro svolto personalmente e in via esclusiva o prevalente dal professionista.

E allora, lo studio associato può essere ammesso allo stato passivo del cliente fallito per il credito al compenso professionale maturato nei confronti di quest’ultimo, con il privilegio di cui all’art. 2751-bis n. 2 c.c., quando:
– il rapporto di prestazione d’opera professionale si sia instaurato direttamente tra il singolo professionista associato e il cliente e il primo abbia successivamente ceduto il suo credito allo studio;
– il rapporto contrattuale sia sorto direttamente tra il cliente (successivamente fallito) e l’associazione professionale.

In entrambi i casi, tuttavia, l’associazione istante deve dimostrare:
– da un lato, che il credito al compenso è il corrispettivo di una prestazione svolta personalmente, in via esclusiva o prevalente, da uno dei professionisti associati;
– dall’altro lato, che le somme così maturate sono destinate a retribuire, anche solo in parte, proprio il professionista che ha personalmente eseguito la prestazione lavorativa.

Ove tale prova non sia fornita, il credito dell’associazione professionale non può essere assistito dal privilegio in questione, avendo esso perso il collegamento causale con la prestazione d’opera personalmente svolta dall’associato e confondendosi con la remunerazione dell’attività organizzata dell’associazione, configurandosi, quindi, non più come compenso professionale, bensì come remunerazione di capitale.

Del resto, anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che la ratio dell’art. 2751-bis c.c. risiede nel riconoscimento di una collocazione privilegiata ai crediti ivi indicati, in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa in senso ampio e quindi destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del prestatore (cfr. Corte Cost. n. 167/2022).

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