La Palestina tra politica, informazione e guerra nella crisi del mondo globale. Seminario a Napoli

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Nell’’incontro-seminario previsto il 5 dicembre presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, studiosi e giornalisti si confronteranno sul tema “La Palestina tra politica, informazione e guerra nella crisi del mondo globale”. A intervenire saranno Rosalba Belmonte (Università della Tuscia), autrice per Meltemi del volume Senza Stato. Il fallimento del progetto nazionale palestinese, Michele Giorgio, direttore di “Pagine Esteri” e storico corrispondente da Gerusalemme de “il Manifesto”, Enzo Nucci, ex inviato Rai con una grande esperienza della regione mediorientale e membro del direttivo di “Articolo 21”, Antonello Petrillo, sociologo del mondo islamico presso UNISOB, Eliana Riva, Caporedattrice di “Pagine Esteri”, esperta di Medio Oriente e documentarista (nel corso dell’incontro sarà proiettato il suo film Il cielo di Sabra e Chatila) e Omar Suleiman, storico rappresentante della comunità palestinese a Napoli, molto noto in città per la sua attività di attore e regista, da anni promotore della cultura palestinese anche presso il suo ristorante “Al-Amir”. Modererà l’incontro Fabrizio Greco, docente UNISOB.

E’ bene chiarire subito che, nell’attuale configurazione del dibattito pubblico e mediatico, l’incontro-seminario previsto il 5 dicembre presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli (“La Palestina tra politica, informazione e guerra nella crisi del mondo globale”), difficilmente potrà sottrarsi all’accusa di essere “divisivo” e “squilibrato”: non è infatti prevista alcuna ritualità “bipartisan” di rappresentazione delle ragioni dell’uno e dell’altro attore del conflitto israelo-palestinese. Esiste, d’altra parte, una precisa tradizione accademica in questo senso: Goffman per esempio, nel dare voce esclusiva agli internati delle istituzioni totali, ne rivendicava la necessità come “ri-equilibrio” di una narrazione totalmente squilibrata in favore delle istituzioni medesime; in fondo lo stesso Weber concepiva l’onestà intellettuale come devozione assoluta quanto appassionata ai fatti piuttosto che alle rappresentazioni ideologiche di questi. Proprio rifiutando le rappresentazioni ideologiche di una pace “a somma zero” – la cui pretesa di pari opportunità nella presa di parola nasconde semplicemente lo squilibrio oggettivo fra le parti – abbiamo deciso di focalizzare la nostra discussione concentrandola su una questione specifica: la Palestina; i brandelli di territorio che nel presente la definiscono sotto il profilo spaziale; le sue aspirazioni statuali ridotte dall’agenda politica internazionale alla farsa di un’autonomia amministrativa; il suo popolo, ossia l’immensa, indicibile sofferenza della sua gente senza patria, ormai nata quasi per intero fra campi-profughi e occupazione. “Fatti” sono, in questo caso, le decine di migliaia di vittime innocenti dell’operazione “Spade di ferro” e di quelle che l’hanno preceduta a Gaza (“Piombo fuso” nel 2008, “Margine di protezione” nel 2014, per citarne solo alcune) e in Cisgiordania, in Libano come in altri paesi della regione; le centinaia di giornalisti e operatori sanitari uccisi, i reiterati attacchi contro le strutture dell’intervento umanitario e persino contro presidi militari delle forze di pacificazione delle Nazioni Unite; le punizioni collettive, la negazione dei diritti più elementari delle popolazioni sotto occupazione (dall’acqua allo studio, dalla mobilità all’abitare, alla salute etc.) perpetrate da più di 70 anni, nello spregio assoluto delle convenzioni internazionali, di innumerevoli risoluzioni ONU, delle stesse sentenze più volte emanate in ambito internazionale. La spiegazione di questi fatti può essere certamente oggetto – nel gioco politico fra le parti – di rappresentazioni di diversa e opposta natura (per esempio “sicurezza”, “contrasto del terrorismo” e certamente ne parleremo), ma costituisce un “fatto” ulteriore il “doppio standard” con il quale la quasi totalità dei governi dell’Occidente e del Nord del mondo sposa le rappresentazioni di una parte sola, ripudiando le abituali distinzioni fra occupato e occupante, tra oppresso e oppressore, fra terrore e diritto di resistenza. “Fatti”, dunque, pienamente meritevoli di un’attenzione scientifica sono anche la lacerazione crescente tra il potere e la ricchezza concentrati nel Nord del mondo e le aspirazioni progressive espresse dai suoi Sud, evidente come non mai nella cartografia degli schieramenti internazionali intorno a questo conflitto; lo scarto democratico altrettanto evidente tra le opinioni manifestate pubblicamente nelle piazze dalle popolazioni dello stesso Occidente (valga per tutte l’enorme mobilitazione di studenti e docenti nelle università americane ed europee) e le decisioni dei loro governi; la leggerezza con la quale gli stessi governi sembrano volersi liberare dal “fardello” delle obbligazioni internazionali, mettendo in mora istituzioni faticosamente costituite nel dopoguerra proprio per arginare la violenza della guerra e le pretese nazionalistiche dei più forti, criticando aspramente il principio di maggioranza espresso reiteratamente nel voto dell’Assemblea delle Nazioni Unite, censurando le sentenze espresse dalla sua Corte e mettendone in discussione l’applicabilità; l’accusa di antisemitismo frequentemente rivolta a coloro (fra i quali molti ebrei) che si schierano in favore della tutela dei più elementari diritti umani in Palestina, a fronte dell’appoggio incondizionato a Israele da parte di forze politiche tradizionalmente (e spesso apertamente) antisemite. La citazione gramsciana cui abbiamo voluto affidare il senso del nostro convegno è ovviamente apocrifa, sebbene ormai inserita in una lunga tradizione artistico-letteraria; ci serviva semplicemente a sottolineare quanto la questione Palestinese ci riguardi direttamente e riguardi il mondo intero: il suo destino è gramscianamente intrappolato in un “interregno” nel quale le antiche egemonie fanno sempre più fatica a trovare nuovi equilibri e il nuovo (le istanze di libertà e di giustizia che provengono dai Sud del mondo e da settori sempre più consistenti dell’opinione pubblica nello stesso Occidente) stentano ad affermarsi. Scongiurare che nel “chiaroscuro” del presente nascano nuovi “mostri” è compito cui non possiamo sottrarci: per la gente di Palestina, per la stessa gente di Israele; per noi stessi, in quanto studiosi, in quanto “umani” che intendono restarlo.


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