Dipendenze patologiche, il direttore Giuli: «1.500 pazienti, più 14% i tossicodipendenti. Cannabis? Non è una droga leggera»

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Lo staff del dipartimento

di Luca Patrassi

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Laurea alla Sapienza di Roma, specializzazione in Psichiatria alla Politecnica delle Marche: Gianni Giuli, dal 2013, è il direttore del dipartimento Dipendenze patologiche della Ast Macerata.

Ci presenta il suo reparto?

«Il Dipartimento è pubblico-privato, al fine di assicurare il perseguimento degli obiettivi di salute della popolazione, integra al suo interno soggetti pubblici, del privato sociale accreditato (Pars, Glatad e Berta 80 e del terzo settore), distretti sanitari e ambiti sociali. Quindi operatori e servizi appartenenti a culture professionali ed istituzionali diverse, per costituire un sistema di maggiore complessità logica e funzionale, i cui sottosistemi sono connessi dalla comune mission. Tra i suoi principali obiettivi il dipartimento ha il superamento della dicotomia tra servizio pubblico e/o privato nell’ottica di migliorare l’intervento di cura e di integrazione socio-sanitaria».

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Gianni Giuli

Le sue parole guida?

«Prevenzione e diagnosi precoce, multidisciplinarità dell’intervento terapeutico e alleanze con le istituzioni del territorio».

Guida le Dipendenze patologiche che già nella parola sembra una missione complicata.

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«Sì, in effetti la questione è molto complessa. I servizi per le dipendenze in Italia sono cambiati negli ultimi decenni in risposta a una maggiore consapevolezza del fenomeno. Il cambiamento della domanda di cura della nuova utenza, basti pensare all’avvento delle new addiction o dipendenze comportamentali, gioco d’azzardo patologico e del digitale, e a un’evoluzione delle politiche sanitarie e sociali. In passato, l’approccio era prevalentemente punitivo e repressivo, mentre oggi si è sviluppata una visione più integrata, incentrata sulla salute e sulla riabilitazione.

I servizi per le dipendenze sono stati progressivamente decentralizzati, con una rete di centri diffusi sul territorio. Questo ha migliorato l’accesso ai trattamenti, rendendoli più vicini alla popolazione. L’approccio è diventato multidisciplinare e ai trattamenti farmacologici si sono affiancati sempre di più quelli psicoterapeutici e sociali. È stata posta maggiore attenzione alla reintegrazione sociale e lavorativa dei pazienti, con l’idea che il trattamento non debba fermarsi al solo aspetto sanitario, ma debba riguardare anche il recupero delle capacità relazionali e professionali. Gran parte del lavoro del Dipartimento è incentrato nell’ambito della prevenzione e della sensibilizzazione, rivolto soprattutto ai giovani, con l’obiettivo di ridurre il rischio di iniziare a fare uso di sostanze e in generale di sensibilizzare la popolazione sui danni delle dipendenze».

I numeri quali sono?

«Sono circa 1.500 i pazienti in carico ai tre servizi territoriali (Macerata, Civitanova e Camerino) presenti sul territorio Ast, un dato che si è mantenuto costante negli ultimi 10 anni. Da sottolineare l’aumento del 14% tra i tossicodipendenti del servizio di Macerata tra 2022 e 2023. A questi dati si aggiungono i pazienti seguiti dalle comunità terapeutiche Pars e Berta ’80, quelli della comunità diurna “Zero”, un servizio semiresidenziale dell’Ast, gestito dall’associazione Glatad e gli accessi agli ambulatori per minori di 25 anni. L’approccio ai giovani è fondamentale, per questo abbiamo aperto un ambulatorio (07332572597), dedicato alla fascia più a rischio, 14-25 anni. L’ambulatorio è attivo al di fuori del Sert di Macerata in un luogo che conserva una stretta privacy. L’intervento precoce, come sempre in medicina, permette di curare meglio, fino ad arrivare alla guarigione. Al contrario la cura di una lunga dipendenza patologica presenta una complessità della cura».

Dai tempi del “metadone di Stato”, la sanità pubblica sembra essere in ritardo e con armi spuntate. Conferma? Potendo, cosa cambierebbe?

«In Italia, come in altri Paesi, le politiche sanitarie relative alla dipendenza da droghe sono state trascurate o sottovalutate rispetto ad altre problematiche sanitarie. Nonostante tutto i trattamenti si sono evoluti e specializzati. Non solo per quanto riguarda i farmaci sostitutivi , che comunque sono medicamenti importanti ma devono sempre essere inseriti in un approccio mutidisciplinare. A cominciare dal triage infermieristico, fondamentale per mantenere un adeguato rapporto (molte volte quotidiano) con il paziente, al supporto psicologico e sociale, non solo dell’utente, ma anche della sua famiglia. Negli ultimi anni, tuttavia, c’è stata una crescente consapevolezza riguardo all’importanza di trattare la dipendenza come una malattia, promuovendo un approccio più centrato sulla salute mentale e sul benessere generale. I programmi di trattamento delle dipendenze, tra cui in particolare delle nuove sostanze psicoattive (Nsp), del crack e della cocaina, sono articolati e multidisciplinari, coinvolgendo anche la famiglia del paziente. Fatto sta che il farmaco rappresenta sempre un medicamento a volte indispensabile, ma di certo all’interno di un piano terapeutico individuale integrato. Di contro si segnalano alcuni ritardi, come quelli relativi alla nascita di moduli e di strutture specifici come quelle legate alla fragilità sociale e ai programmi post-comunitari. Un problema che rischia inevitabilmente di ripercuotersi sul territorio alimentando il fenomeno della porta girevole con continui rientri nelle comunità terapeutiche. Su questa tematica ci siamo sempre misurati. In questo senso il modello del centro diurno “Zero” ci aiuta nel territorio a cercare di dare un luogo alla “cronicità”. Mi piace sempre ricordare che il centro diurno è un reale e virtuoso esempio di alleanza sul territorio. Stabile di proprietà del Comune, posti di cura (12) assegnati all’Ast e gestione affidata al Glatad (privato sociale). Siamo riusciti ad avere un finanziamento di 300mila euro dal Consiglio dei ministri per migliorare lo stabile e finanziare le forme di cura che prevedono arte-terapia, pet-therapy ed altro.  In definitiva, la ricerca e l’innovazione nel trattamento della dipendenza sono aumentate, ma la lotta alla droga continua a essere una sfida complessa che richiede una risposta integrata tra sanità, politiche sociali e giustizia».

Ha visto passare nel suo studio generazioni di persone con dipendenze, da droghe e non solo. Cosa è cambiato? L’età del primo approccio, le motivazioni, i danni causati dalle sostanze?

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«L’età di primo accesso alle sostanze psicoattive, come alcol, tabacco o sostanze stupefacenti, ha subito cambiamenti significativi negli ultimi decenni. In generale, è stato osservato un abbassamento dell’età in cui i giovani iniziano a sperimentare queste sostanze. Diversi fattori contribuiscono a questo fenomeno: una su tutte la facilità di accesso e la disponibilità di reperimento anche grazie al web. Il trend che stiamo cercando di contrastare è quello della normalizzazione di certi comportamenti, come il consumo di alcol in contesti sociali giovanili e i primi contatti con la cannabis. Quest’ultima, una sostanza , il cui uso è quasi “normalizzato” anche dalla famiglia. La cannabis non può più essere considerata una droga leggera, il contenuto di thc (il principio psicoattivo ) è passato dal 4-5% al 50-60 % fino a punte di 85-90% , pensate all’impatto di questa droga sul cervello di un adolescente. La relazione al Parlamento 2024 ci dice che aumenta in Italia il consumo di sostanze psicoattive tra i 15 e i 19 anni rispetto all’anno precedente. I report europei invece evidenziano l’arrivo di nuove miscele vendute, dette Nps (nuove sostanze psicoattive) molto dannose per il cervello, come la ‘cocaina rosa’, che possono contenere ketamina. Il 2023 è stato poi caratterizzato da 25 allerte diramate dal Sistema Nazionale di allerta precoce del Dipartimento per le politiche antidroga (Dpa). I due alert di grado più elevato hanno riguardato la presenza del Fentanyl, oppioide sintetico con una potenza oltre 80 volte superiore a quella della morfina. Tra i nostri assistiti non è ancora stato riscontrato l’utilizzo di tale sostanza, ma ciò non significa che essa non sia presente sul nostro territorio e sappiamo che dobbiamo essere assolutamente vigili su questo aspetto».

Come la sanità pubblica pensa di prevenire una dipendenza?

«Come Ast cerchiamo di fornire una risposta alla crescente domanda di cura e un’attività di prevenzione basata sulle evidenze scientifiche. Non c’è di certo una formula magica, le dipendenze sono una patologia complessa, fare prevenzione e promozione della salute è un lavoro estremamente complesso, così lo è anche misurare i risultati che si ottengono. Lo è ancor di più in un settore dinamico come quello delle dipendenze, nel quale è sempre necessario essere aggiornati rispetto a sostanze e comportamenti d’abuso in continua evoluzione. Un punto di partenza imprescindibile è quello della condivisione dei linguaggi: nel mondo di oggi siamo travolti da un quantitativo enorme di informazioni spesso contrastanti e non verificabili: il nostro dovere, come istituzione pubblica che si occupa di salute, è quello di basare qualsiasi nostra idea, azione ed intervento sulle evidenze scientifiche. Le linee guida europee sulla prevenzione sono il nostro punto di riferimento. Molte volte, troppe, alcuni interventi “accademici”, lasciano il tempo che trovano. Il nostro modo di fare prevenzione si basa sul lavorare insieme ai ragazzi. Inoltre, non esiste un’età a cui non è utile fare promozione della salute, purché la si faccia con metodologie adeguate alla popolazione target: per questo portiamo avanti anche attività specificamente dedicate anche agli alunni delle scuole elementari; la scuola è l’interlocutore privilegiato, è il luogo dove poter fare prevenzione».

Non solo scuole, quali sono gli altri luoghi di azione?

«Siamo presenti, inoltre, nei cosiddetti “non luoghi” con interventi di educativa di strada, cercando di intercettare quelle situazioni di disagio che spesso fanno fatica ad emergere. L’unità di strada “Stammibene”, attiva da oltre vent’anni nel nostro Dipartimento, è il “contenitore” di tutta la nostra attività di prevenzione. Attraverso “Stammibene” gestiamo tutti i fondi ministeriali, regionali e non solo, che arrivano per il nostro territorio e grazie ai quali ideiamo e realizziamo tutti i nostri progetti, che consistono in interventi sul territorio e nelle scuole, eventi formativi e informativi, campagne di comunicazione e molto altro. Nell’attuazione di queste azioni è imprescindibile il rapporto con tutti gli altri stakeholders, mi riferisco in particolare ai Comuni, agli Ambiti territoriali sociali e al privato sociale accreditato, che di fatto ci permettono di essere presenti in maniera capillare su tutto il territorio. Un aspetto sul quale stiamo insistendo è la presenza sul territorio: a partire dalle alleanze con altri soggetti e stakeholders, fino agli sportelli dedicati a famiglie (family-point). Un altro punto cardine è senz’altro quello dell’intercettazione precoce di stati di disagio: il numero di minori con problematiche di abuso, o identificabili come a rischio, è in continua crescita, e rispetto a questi conduciamo una serie di attività, tra queste sono particolarmente importanti gli ambulatori (esterni rispetto ai servizi territoriali) che abbiamo attivato da alcuni anni dedicati a minori, giovani adulti e loro familiari. Inizieremo in questo mese un progetto sulle dipendenze digitali con i fondi avuti dal Dipartimento politiche antidroga. Grazie agli operatori che si sono impegnati ella costruzione di questo progetto e devo dire con il supporto della Direzione generale, sanitaria e sociosanitaria dell’Ast, siamo riusciti ad avere finanziato il progetto, arrivando secondi in graduatoria in Italia e questo per un piccolo Dipartimento e per l’Ast è sicuramente una grande soddisfazione».

Si dice che alcune specialistiche non siano più attrattive per i giovani: è sempre e solo una questione di soldi?

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«Sì, questo è un problema reale, soprattutto nel reperimento dei medici, ma direi non solo per gli specialisti delle Dipendenze patologiche. Comunque non è facile misurarsi con una patologia complessa nella quale la domanda di cura non è sempre chiara ed in cui il paziente non collabora, per di più rischiosa per la sicurezza personale. Di questa tematica purtroppo io sono testimone diretto, avendo subito una grave aggressione nel 2019. Nonostante questa scarsità di personale, devo dire di avere una “squadra” davvero unica. Non parlo solo per il Servizio di Macerata, ma anche per quello di Civitanova condotto da Mario de Rosa e quello di Camerino condotto da Anna Ricci. Pertanto colgo l’occasione per ringraziare tutto il personale del Dipartimento che lotta tutti i giorni per la prevenzione e la cura delle dipendenze, il privato sociale (Pars, Glatad e Berta 80) per la stretta collaborazione che ci garantisce e la direzione generale per la sensibilità dimostrata nell’affrontare queste tematiche molte volte stigmatizzate».





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