Gavino Maciocco e Benedetto Saraceno
Una violenza distruttiva e crudele su tutto e su tutti. La disumanizzazione di un intero popolo. Il razzismo. La fame come arma. L’intenzione di annettere un territorio e di deportare gli abitanti. Il libro di Samah Jabr, psichiatra palestinese “Il tempo del genocidio” e il Rapporto di Human Rights Watch sull’intervento militare israeliano a Gaza.
“Signore e signori,
ogni mattina ci svegliamo con un’altra immagine orribile proveniente da Gaza. Oggi vediamo il video di un carro armato che schiaccia il corpo di un civile palestinese a più riprese.
Rispettato pubblico, sono una psichiatra consulente, con una lunga esperienza nel lavoro con i professionisti della salute mentale a Gaza, ma non sono qui per parlarvi dell’inimmaginabile impatto del genocidio sulla salute mentale dei palestinesi, né per romanticizzare il Sumud palestinese. Sono qui per avvertirvi dell’imminente collasso del nostro senso di umanità comune. In quanto palestinese senza cittadinanza e trovandomi correntemente ad affrontare un livello senza precedenti di repressione israeliana a Gerusalemme e in Cisgiordania mi appello ai vostri principi universali di esseri umani per aiutarci a rivelare la straziante realtà degli eventi che avvengono a Gaza, un luogo sfregiato da uno dei capitoli più oscuri della storia. Le atrocità incessanti commesse ora dopo ora a Gaza sono una macchia sulla coscienza dell’umanità e lasciano un marchio indelebile sulla nostra capacità di relazionarci gli uni con gli altri in quanto essere umani. Dal primo giorno di questa guerra i politici israeliani hanno parlato vendicativamente di radere al suolo Gaza e deportare i suoi residenti. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha descritto gli abitanti come “animali” e il Presidente di Israele, Isaac Herzog, ha dichiarato che tutti gli abitanti di Gaza sono complici degli eventi del 7 ottobre.”
Questo brano è tratto dal primo capitolo del libro “IL TEMPO DEL GENOCIDIO” (Edizioni Sensibili alle Foglie, 2024), scritto da Samah Jabr (nella foto), psichiatra palestinese che dirige l’unità di salute mentale del Ministero della sanità palestinese. Il sottotitolo del libro è “Rendere testimonianza di un anno in Palestina” e il brano citato riporta la data del 7 novembre 2023, a un mese dall’inizio delle ostilità. Il capitolo datato 6 luglio 2024 esplora le forme dirette e indirette di uccisione a cui vengono sottoposti i palestinesi di Gaza, il loro impatto sui sopravvissuti.
Uccisione diretta tramite bombardamenti
La forma più immediata e cruenta di uccisione a partire dall’ottobre 2023 è quella del bombardamento massiccio. Si stima che la potenza distruttiva della grande quantità di bombe scaricate su Gaza – un’area corrispondente a un terzo della città di Hiroshima – sia sette volte maggiore rispetto a quella sganciata sulla città giapponese durante la seconda guerra mondiale. Un’uccisione di massa di questa portata riduce le vite umane a semplici numeri e statistiche.
Dal 7 ottobre 2023 a Gaza sono stati uccisi oltre 45 mila palestinesi, in larga parte donne e bambini, ma come nota un recente articolo di Lancet “Counting the dead in Gaza: difficult but essential”, i conflitti armati hanno implicazioni indirette sulla salute oltre al danno diretto causato dalla violenza e il numero effettivo dei decessi può essere stimato in 3-15 volte il numero delle morti dirette.
Human Rights Watch ha recentemente dedicato un ampio rapporto sull’intervento militare israeliano a Gaza, – (Hopeless, Starving and Displaced. Israel’s Forced Displacement of Palestinians in Gaza) – di cui abbiamo sintetizzato il contenuto, in italiano, nel PDF che puoi scaricare qui Il Rapporto di Human Rights Watch
Uccisioni indirette: la fame e la distruzione del sistema sanitario
Oltre che con la violenza immediata, l’uccisione può essere perseguita anche attraverso la distruzione sistematica di infrastrutture essenziali, soprattutto con la demolizione del sistema sanitario e l’utilizzo della fame come arma. A giugno l’alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dato notizia dell’uccisione a Gaza , a partire del 7 ottobre 2023 durante attacchi sistematici a strutture mediche, di 500 operatori sanitari, in violazione del diritto bellico. Ciò ha originato una crisi della salute e dell’igiene pubblica, portando alla morte per infezione di diversi pazienti feriti e incrementando la mortalità delle donne incinte e dei neonati. Gli operatori hanno subito diverse violazioni, incluse le sparizioni forzate durante i raid israeliani sugli ospedali. Ci sono i rapporti di dottori palestinesi morti durante la prigionia a causa delle torture subite. L’uccisione, la detenzione, la tortura e la sparizione forzata degli operatori sanitari, insieme alla distruzione della maggioranza delle strutture mediche hanno devastato il sistema sanitario di Gaza. Questo collasso ha esacerbato le sofferenze dei civili, soprattutto con la diffusione di malattie che colpiscono i bambini, le donne incinte e le persone affette da disabilità. La fame, una forma lenta e agonica di morte, è una conseguenza del blocco dei confini, degli approvvigionamenti esterni e delle distruzioni delle risorse alimentari locali. Nel corso degli ultimi sette mesi Israele condotto alla fame due milioni e trecentomila palestinesi a Gaza, portando nel gennaio 2024 alle prime morti di bambini per fame. Oggi Gaza affronta una carestia dalle conseguenze irreversibili, specialmente sui bambini il cui sviluppo fisico è compromesso dall’anemia e dalla malnutrizione. Anche se il conflitto finesse ora i sistemi alimentari di Gaza sono stati già distrutti, insieme a un terzo delle terre coltivabili, dei sistemi di irrigazione e della flotta dei pescatori. La fame viene utilizzata come arma da guerra, nel quadro di una violenza genocida.
Uccidere dopo la morte: sepolture negate
L’uccisione si estende anche oltre la morte. A Gaza il 30% dei corpi ammassati nelle strutture di pronto soccorso rimangono non identificate e si stima che 10.000 salme siano rimaste sotto le macerie di edifici residenziali. La violenza in corso impedisce ai sopravvissuti di partecipare ai riti appropriati di lutto e sepoltura, costituendo un’arma psicologica non secondaria, che nega alle famiglie una chiusura, necessaria per cominciare a elaborare il loro dolore. Scene orribili di sepolture di massa, di cadaveri mangiati da cani e gatti selvatici affamati, di corpi in decomposizione abbandonati nella terra di Gaza perpetuano la sofferenza dei vivi, infondendo traumi e sensazioni di impotenza nella comunità. Questa violenza postuma riflette un assalto psicologico più profondo alla dignità umana, negando ai defunti la dignità dei riti finali e ai superstiti la loro possibilità di elaborazione del lutto.
L’uccisione psicologica dei sopravvissuti
I sopravvissuti al genocidio di Gaza sopportano una forma di uccisione diversa, anche se parimenti straziante. Il trauma inflitto dall’assistere e subire estrema violenza lascia profonde cicatrici psicologiche. I palestinesi di Gaza hanno visto i loro parenti seppelliti vivi dalle macerie, scoperto fosse comuni piene di persone ammanettate e bendate, sentito i racconti agghiaccianti delle torture subite dai loro parenti. Tale crudeltà è studiata per pietrificare i sopravvissuti in uno stato di terrore e impotenza perpetui, alterando in questo modo le loro vite. L’assassinio psicologico delle anime e delle menti delle persone rende i corpi semplici involucri, ombre vuote di ciò che erano un tempo, segnati da traumi profondi che infliggono un dolore costante e pervasivo.
Implicazioni esistenziali
La facilità con cui vengono uccisi i palestinesi solleva delle domande filosofiche fondamentali circa la natura dell’umanità e il significato della vita. La distruzione deliberata delle vite umane, sia attraverso violenza diretta sia con mezzi indiretti mette in discussione la nostra cornice morale, il contratto sociale e la fiducia nei diritti umani e nelle leggi internazionali. La disumanizzazione mediatica dei palestinesi, la riduzione delle loro vite a mere statistiche, la prolungata sofferenza inflitta ai sopravvissuti portano alla luce profondi dilemmi etici e morali sul significato di giustizia e di dignità umana.
Quel che è ancora più sconcertante – osserva Samah Jabr – per un qualsiasi senso di coscienza è l’incrollabile supporto per questi massacri dimostrato dai principali governi occidentali – gli USA, il Regno Unito, la Francia, la Germania e l’Italia. La palese indifferenza per le vite dei palestinesi, espressa dalle autorità politiche e militari di questi Paesi, oltre che dai principali media occidentali, contraddice quegli stessi valori che queste nazioni sostengono di difendere. Al contrario, la loro indifferenza per le vite dei palestinesi rivela il razzismo soggiacente e la mentalità colonialista di questi regimi occidentali.
L’idea che a Gaza si stia consumando una guerra in stile coloniale riecheggia in un editoriale di Richard Horton su Lancet dello scorso 23 novembre, dedicato alla conferenza tenuta da Ghassan Abu-Sittah – professore britannico-palestinese di chirurgia e rettore dell’Università di Glasgow – alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM). Ghassan Abu-Sittah definisce ciò che sta succedendo a Gaza una “guerra genocida coloniale contro nativi problematici”. E alla domanda “Cosa si può fare per fermare il genocidio?”, risponde “L’unica risposta è porre fine al progetto imperiale occidentale. E quel progetto imperiale è vivo e vegeto. Il divieto delle proteste nelle università. Gli attacchi a coloro che si discostano dalla narrazione accettata. Il genocidio in un contesto è accompagnato dalla repressione in un altro.”
“Dobbiamo essere chiari su cosa sta accadendo intorno a noi – osserva Horton. Abu-Sittah ha descritto come determinati conflitti siano stati trasformati in laboratori per studiare come affrontare le “popolazioni in eccesso”, persone di cui non c’era più bisogno in virtù della politica del momento. I risultati di un laboratorio di guerra saranno appresi da leader politici autoritari altrove. E quando quei leader affronteranno le loro “popolazioni in eccesso”, sapranno come agire in un modo che sfida la responsabilità internazionale.”
Abu-Sittah stava parlando alla LSHTM a un’aula magna stracolma di studenti e docenti. Le sue parole hanno suscitato una standing ovation, ma sono state scomode da ascoltare. Tanto da portare Horton alla seguente conclusione:
“Non possiamo sfuggire al nostro passato. Siamo complici del nostro presente. E, a meno che non rinunciamo alla nostra collusione, siamo maledetti nel nostro futuro”
“We cannot escape our past. We are complicit in our present. And, unless we renounce our collusion, we are cursed in our future”.
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