La coscienza del talento ma anche della battaglia che comporterà cercare di metterlo a frutto. La lucidità di cogliere anzitempo le prospettive dell’arte – anche in termini di mercato – ma pure la consapevolezza profonda del limite che socialmente implica essere donna, perfino nella “libertà” del mondo creativo. Ha la precisione di un autoritratto la raccolta Lettere e taccuini (1869-1895) di Berthe Morisot, curata da Lorella Giudici e pubblicata da Abscondita.
Un racconto intimo, lucido, della vita personale dell’artista nonché dello scenario in cui opera e in generale del momento storico. Pagina dopo pagina, tra lunghe lettere, brevi messaggi, note veloci, la pubblicazione è un modo per riaccendere i riflettori sulla figura di Berthe Morisot, classe 1841, pittrice talentuosa e coraggiosa – ma a lungo “dimenticata” – unica firma femminile nella prima collettiva degli Impressionisti, tenutasi nel 1874, ossia 150 anni fa.
Tra i protagonisti, i “ribelli” Edgar Degas, Paul Cézanne, Pierre Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Claude Monet. E, appunto, una sola donna: giovane, stanca di convenzioni e accademismi, pronta ad affrontare lo scandalo dell’iniziativa e, più ancora forse, del suo essere donna alla scalata di un mondo ritenuto “maschio”.
L’ANNIVERSARIO
Ecco allora il volume, che permette di ricostruire il suo mondo intimo, fatto di affetti profondi e non meno grandi aspirazioni, di “ostacoli” sociali da superare e anche di conflitti interiori, divisa tra il sogno dell’arte e il desiderio di una vita serena. «Ho trovato un brav’uomo,onesto,e sono sicura che mi ama sinceramente.Dopo aver vissuto per tanto tempo inseguendo chimere ho cominciato a vivere una vita vera», dirà dopo il matrimonio con Eugène Manet, consigliatole dal fratello Edouard, che per la giovane artista fu forse il legame più forte dell’intera vita. Edouard Manet, della fanciulla, che descrisse come «mademoiselle sempre ben vestita con classe, dai lineamenti meravigliosamente marcati e da un viso limpido» fece sua musa e modella per più di un’opera, dipingendo i suoi occhi grigio-verdi sempre con il nero nel tentativo di restituire profondità e intensità del suo sguardo. Nel libro, anche gli scritti di alcuni dei suoi amici, artisti e intellettuali del momento, come Stéphane Mallarmé che la definiva «l’amichevole medusa», proprio per la sua energia, capace di “incantare”.
LA MOSTRA
E, oltre al libro, ecco anche una mostra, la prima dedicata alla sua figura in Italia. Nel calendario delle celebrazioni ufficiali del 150esimo anniversario dell’Impressionismo, inclusa nella stagione commemorativa avviata dal Museo d’Orsay di Parigi, infatti, rientra l’esposizione Impression, Morisot, progetto di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura con Electa, ospitata a Genova, a Palazzo Ducale, appunto, fino al 23 febbraio, e affiancata dal ciclo di incontri Esistere come donna, ideato e realizzato da Electa, in collaborazione con Fondamenta Fondazione per le arti e la cultura. Curata da Marianne Mathieu, tra le massime esperte dell’artista, l’esposizione indaga in particolare l’influenza esercitata su Morisot dai soggiorni in Riviera negli inverni 1881-1882 e 1888 -1889.
Oltre ottanta tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli, nonché foto e documenti d’archivio permettono di studiare l’evoluzione della concezione pittorica di Morisot, dallo studio dei grandi capolavori della storia dell’arte, con una predilezione per Veronese, alla svolta impressionista, fino ad arrivare alla ripresa della visione, filosofica prima ancora che visiva, del “non-finito”, qui estremizzato con la scelta di far vedere in alcuni casi perfino la tela grezza. Un focus è dedicato al progetto di ricostruire nell’arredo del suo atelier una sorta di rimando alla chiesa del Gesù a Nizza. Visitare la mostra consente anche di “vedere” il suo ambiente familiare, ricostruendo i profondi legami con la sorella Edma – che la ritrae con i pennelli in mano – e la figlia Julie, sua modella preferita.
IL LIBRO
Proprio alla sorella Edma sono indirizzate molte delle lettere riunite nel volume. Berthe parla di arte, critica i lavori che vede intorno a sé, mostra uno sguardo attento – e una penna a volte cinica – nel riscontrare come il “brutto” venda spesso più facilmente del “bello”, e il “vecchio” più del nuovo. Riscontra i limiti di un plauso popolare che dona il successo ma non premia necessariamente i migliori. E ancora meno, “le” migliori. «Vorrei compiere il mio dovere fino alla morte», annota nei taccuini. «Vorrei che gli altri non me lo rendessero troppo difficile. Non credo che ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna da pari a pari e questo è tutto ciò che avrei chiesto, poiché conosco il mio valore».
Ecco la chiave della riflessione dell’artista e della modernità dei suoi scritti. Morisot convince prima gli artisti, passando attraverso la convivialità degli appuntamenti fissi, ogni giovedì, nel suo salotto culturale. E poi “sfida” le consuetudini del mercato, poco avvezzo – e ancor meno aperto – all’arte al femminile, dato che fino al 1897 alle donne fu vietato frequentare l’Ecole des Beaux-Arts e le poche che tentavano la via dell’arte non erano ritenute “perbene”. Morisot sa vedere oltre e ha piena coscienza della fatica che la sua scelta di vita comporta: «L’amore per l’arte, l’abitudine a lavorare,mi riconciliano con le rughe del volto,e i capelli bianchi». Conosce, però, bene anche la magia dell’arte, che si fa narrazione e conforto. Memoria.
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