Liti a scuola, in Veneto arriva l’aula per risolvere i conflitti: «Dialogo, impegno e verifica con prof e compagni mediatori»

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di
Nancy Galdi

Il progetto finanziato dalla Regione Veneto tra Vicenza, Belluno e Treviso:  «L’anno scorso abbiamo svolto 7/8 mediazioni. È un successo solo se i ragazzi riescono a parlarsi in maniera rispettosa»

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I conflitti fanno parte della vita e vanno affrontati, ma come? Ce lo dicono gli studenti del progetto «TVB (Treviso-Vicenza-Belluno): officina di riparazione», che ha visto l’apertura aule di mediazione dei conflitti nelle scuole. Nei contesti scolastici, e soprattutto durante l’adolescenza, è facile che si verifichino scontri tra gli alunni, ma la buona notizia è che il modo per affrontarli è stato trovato. La richiesta d’aiuto parte da uno studente che sente di avere un problema con un altro compagno di scuola, descrive la questione su un bigliettino che inserisce in un’apposita scatola, e il team di mediatori la prende in carico e forma il gruppo che affronterà la mediazione: due studenti, un docente che supervisiona, e i diretti interessati.

«Uno spazio di dialogo»

Un progetto avviato dall’associazione “La Voce” di Treviso e finanziato dalla Regione Veneto, presentato il 17 ottobre durante l’apertura ufficiale del Centro di Giustizia Riparativa Young, quando si sono riuniti tutti gli studenti e insegnanti «mediatori». «Si dà la possibilità a due persone in contrasto di avere uno spazio e un tempo in cui possono incontrarsi e dialogare – spiega Barbara De Matteis, professoressa della scuola media Ambrosoli di Vicenza e responsabile del progetto di mediazione insieme a Nicola Infanti, Donata Riccardi e Simona Calamia, che insieme si occupano della risoluzione di questi conflitti – I mediatori sono specchi di ciò che dicono e le portano a riflettere e a confrontarsi per trovare un accordo».




















































Come funziona: emozioni, riservatezza e libertà

Le regole dell’aula di mediazione? In primis l’ascolto e l’alfabetizzazione emotiva. Poi la confidenzialità: tutto ciò che viene detto all’interno della stanza rimane riservato. Seguono la volontarietà, siccome alla mediazione non si arriva mai obbligati, ma liberi di accettare l’invito del compagno e di interrompere l’incontro se necessario, e il non giudizio. Inoltre, i giovani mediatori non possono essere amici o avere relazioni con i due confliggenti, altrimenti il principio di equidistanza viene meno. «A Vicenza noi siamo l’unico istituto comprensivo di 1° grado operativo da questo punto di vista. Quindici alunni hanno seguito un corso di formazione di 30 ore, noi insegnanti di 25, entrambi realizzati da m_promopress, esperti dell’associazione “La Voce” di Treviso con il contributo di quella vicentina “50 passi” – prosegue De Matteis – L’anno scorso abbiamo svolto 7/8 mediazioni. Le consideriamo “di successo” solo se i ragazzi riescono a parlarsi in maniera rispettosa, propositiva e pacifica. Hanno bisogno di esprimersi. Per loro la cosa più importante è sentirsi ascoltati e, una volta fuori dall’aula, si sentono meglio».

L’impegno e la verifica

Quando arriva la richiesta, per prima cosa viene fatto un colloquio preliminare con ciascun alunno singolarmente per capirne i motivi. Se la persona convocata accetta, parte la mediazione. Si arriva a un accordo: i due studenti si prendono un impegno e, dopo due settimane, l’aula si riapre con gli stessi protagonisti per verificare se è stato rispettato. Il tutto durante l’orario scolastico. «Non siamo psicologi – sottolinea la professoressa – non dobbiamo interpretare, ma preparare un terreno che permetta loro di ritrovare sé stessi, sentire quello che provano e lavorare insieme».

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