Innovazione, ora spendono anche le Pmi: dal cloud alla cyber security, dove vanno gli investimenti

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di
Chiara Galletti

Gli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano registrano un +4% sulla spesa in tecnologie digitali e informatiche da parte delle Pmi, che ora vogliono colmare il gap con le grandi aziende 

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Le aziende italiane hanno già in programma per l’anno prossimo l’aumento degli investimenti in innovazione digitale e in tecnologie informatiche. Il trend di crescita prosegue con un tasso leggermente inferiore rispetto al 2023 (+1,9%): per il 2025 si prospetta un +1,5% dei budget in Ict (Information and communications technology) delle imprese. È quanto emerge dalla ricerca condotta dagli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, che ogni anno coinvolge grandi imprese, Pmi e startup per fornire una fotografia dello stato corrente degli investimenti digitali in Italia e descrivere quelli dell’anno a venire. «Il dato è positivo, ma non è ancora abbastanza» dichiara la direttrice degli Osservatori promotori della ricerca Alessandra Luksch, che il 5 dicembre presenterà al Politecnico di Milano i risultati dello studio al convegno «Digital & Open Innovation 2025: per imprese e startup è ora di misurare l’impatto!». «Le aziende italiane confermano l’intenzione di investire nel digitale, ma quando si parla di innovazione non riescono ancora a guardare nel lungo periodo — continua Alessandra Luksch —. Imprese e startup oggi sono entrate in una nuova fase nello sfruttamento dell’innovazione, con un focus meno centrato sulla sperimentazione e più sulla generazione di impatto. Per una piena trasformazione, però, è necessario passare da un modello che guarda ai risultati economici di breve periodo a uno che misuri l’impatto su più dimensioni, dalla sostenibilità alla creazione di valore nel lungo periodo per tutti gli stakeholder».

Dove si focalizzano gli investimenti

Per le grandi imprese la priorità è la cyber security (57%), specialmente per la protezione dei propri dati e di quelli dei clienti. Seguono le soluzioni di business intelligence (44%) e visualizzazione dati, che investono anche la gestione della sostenibilità: si tratta di dati che entrano in gioco nella misurazione dei consumi e dell’impatto ambientale dell’azienda. Al terzo posto l’intelligenza artificiale (43%), che con le sue diverse applicazioni dà una spinta anche ai precedenti settori. In particolare l’intelligenza artificiale generativa conquista il 39% delle preferenze delle grandi aziende, segnando una notevole accelerazione rispetto all’anno scorso, che la vedeva a metà della classifica. Anche per le Pmi la sicurezza informatica rimane l’interesse principale, ma al secondo posto si posiziona la migrazione e gestione del Cloud (25%), settore che per le grandi aziende è stato prioritario negli anni scorsi. Terze figurano le applicazioni dell’industria 4.0 e della robotica, specialmente per le realtà manifatturiere. Il dato più sorprendente riguarda le Pmi, che segnano un +4% dei budget in Ict. «Questo dato è il risultato delle normative e degli incentivi messi in campo dalle istituzioni negli ultimi anni, nonché di tutta la comunicazione mediatica e la formazione che è stata fatta sul tema — spiega Alessandra Luksch —. Per le grandi aziende invece i dati indicano stabilità negli investimenti: le grandi spese sono alle spalle. Le Pmi devono ancora recuperare anni in cui le tecnologie non sono state messe al primo posto, ora è chiaro che bisogna investire in questo settore per crescere e per competere».




















































Dove si può migliorare

Tuttavia, complessivamente solo l’8% delle imprese ha definito le metriche per valutare in modo completo l’impatto del digitale. E questo è il primo fattore che frena la crescita, e che, a lungo andare, rischia di rendere le aziende meno competitive. «Negli ultimi cinque anni le aziende si sono trovate di fronte alla necessità di reagire a dei contesti fortemente avversi improvvisamente, e hanno dovuto rivedere i propri processi interni e la propria organizzazione. Si sono rafforzate figure come l’innovation manager, deputato a presidiare i meccanismi di innovazione delle imprese. E ogni anno cresce in modo costante l’adozione di pratiche di open innovation, che considera la capacità delle aziende di operare al di fuori dei propri confini» spiega Alessandra Luksch. Nel 2024, l’88% delle grandi aziende italiane ricorre a pratiche di innovazione aperta, dato che sale al 98% nelle grandissime imprese. A crescere nell’interesse delle aziende sono specialmente le startup, utilizzate come fonti di innovazione esterna dal 27% delle imprese. A differenza dei classici fornitori, le startup vengono impiegate per far fronte a più tipi di problemi, sono infatti capaci di adattarsi alle collaborazioni più diverse.


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