Alla vigilia della Giornata Mondiale del Suolo, nata per sensibilizzare la popolazione globale sull’importanza che il suolo svolge nelle nostre vite quotidiane, il WWF accende i riflettori su uno degli habitat più devastati, ovvero, le sponde e le aree lungo i fiumi: negli ultimi 50 anni abbiamo perso una superficie complessiva pari a circa 2.000 campi da calcio. La distruzione degli ambienti ripariali si somma al danno dovuto agli sbarramenti artificiali presenti in tutto il sistema fluviale italiano, almeno 11.000 tra dighe, briglie e traverse di cui gran parte obsolete.
Secondo il rapporto ISPRA 2024 “l’8,6% della superficie edificata nazionale (46.436 ettari) ricade in area a pericolosità da frana (P4+P3+P2+P1+AA), con un massimo in Valle d’Aosta (55,29%) e Liguria (49,4%) dove circa la metà degli edifici sono in aree a pericolosità da frana, mentre la Toscana è la regione con più ettari di superficie edificata esposta (10.518 ettari, il 32% delle aree edificate della regione)”.
La situazione è preoccupante anche per quanto riguarda la pericolosità idraulica visto che il “12,9% delle aree edificate (69.743 ettari) ricade in aree a pericolosità idraulica media, con un massimo del 63% (33.261 ettari) in Emilia-Romagna“, seguito a distanza dal Veneto con 7087 ettari di aree edificate.
Il rapporto ISPRA analizza anche le fasce lungo i corpi idrici evidenziando molto chiaramente come una delle principali cause dei danni dovuti alle alluvioni è proprio il consumo di suolo; infatti “entro un intorno di 150 metri dai principali corpi idrici si rileva una presenza di superfici artificializzate superiore al valore medio nazionale (8,6%), con un incremento di 770,7 ettari nell’ultimo anno, concentrati per quasi il 40% lungo i corpi idrici di Emilia-Romagna (123,4 ettari), Lombardia (90,3 ettari) e Piemonte (87,1 ettari), mentre la Campania è la regione con la maggiore densità di cambiamenti (5,8 metri quadrati di consumo di suolo per ettaro di superficie della fascia nella regione)” Il consumo di suolo in Emilia Romagna evidenzia tutta la vulnerabilità territoriale della Regione che, di fronte ai cambiamenti climatici, è esposta a rischi inaccettabili, che si manifestano con alluvioni devastanti e sempre più frequenti che si sono ripetute con tragica puntualità in questi ultimi anni.
Stiamo rendendo il nostro territorio fluviale sempre più fragile ed esposto agli eventi estremi e gli interventi finora adottati vanno in senso contrario a quanto indicato dal Regolamento europeo sul Ripristino della Natura (Nature Restoration Law) che impone agli Stati membri di riqualificare almeno 25.000 km di fiumi europei entro il 2030: questo rappresenterebbe un’importante inversione di tendenza verso il ripristino, la rinaturazione e la rivitalizzazione delle nostre acque.
Se i fiumi vengono liberati e si permette loro di seguire il corso naturale, è possibile limitare gli effetti degli eventi climatici disastrosi come inondazioni e la siccità: questi habitat, infatti, sono capaci di assorbire l’acqua in eccesso durante i periodi di piogge abbondanti e reintegrare le acque sotterranee attraverso un lento rilascio durante i periodi di siccità. Mitigare l’impatto degli eventi estremi causati dal cambiamento climatico è essenziale per tutelare maggiormente vite umane e limitare i costi per la ricostruzione.
Nel nuovo report del WWF Rivers2Restore si sollecita un’azione immediata per riportare i fiumi europei al loro stato naturale. Nel Report sono stati selezionati 11 progetti in tutta Europa che, se realizzati, potrebbero ripristinare 2.200 km di fiumi, contribuendo così al raggiungimento di quasi il 10% dell’obiettivo della Strategia Europea sulla Biodiversità.
I progetti innovativi di Rivers2Restore rappresentano sforzi concreti per ridare vita a centinaia di chilometri di fiumi europei. Il programma prevede interventi su alcuni dei principali fiumi del nostro continente: Morava in Austria, Mura-Drava in Croazia, Palokinkosket in Finlandia, Ammer in Germania, Kalentzis in Grecia, Dienvidsusēja in Lettonia, Geul in Olanda, Vascao in Portogallo, Delta del Danubio in Romania, Bela’ in Slovacchia, Guadalquivir in Spagna e Adige in Italia.
UNA LEGGE PER CONTRASTARE IL CONSUMO DI SUOLO
ISPRA ha certificato come in Italia vengono cementificati 2 metri quadrati di suolo al secondo. 21.500 km quadrati di suolo italiano è ormai cementificato e solo gli edifici occupano 5.400 km quadrati, una superficie pari alla Liguria. La cementificazione contribuisce a rendere il nostro Paese meno sicuro perché l’impermeabilizzazione del suolo aumenta il rischio di disastri: dal 2000 al 2019 in Italia il dissesto idrogeologico ha causato 438 morti.
Governo e Parlamento discutono di una legge sul consumo del suolo dal 2012 e nel frattempo la Commissione Europea nel 2021 ha approvato la nuova Strategia europea per il suolo al 2030, rendendo ancora più urgente l’intervento del legislatore nazionale.
La legge italiana dovrebbe muoversi in una logica di “bilancio zero del consumo del suolo” stimolando il recupero delle aree già occupate e degradate: nelle sole aree urbane si potrebbe intervenire su oltre 310 Km quadrati di edifici non utilizzati (una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli).
PROGETTO ADIGE “LIBERO”: DA CANALE A FIUME VIVENTE
L’Adige, che con i suoi 410 chilometri è il secondo fiume d’Italia per lunghezza. È estremamente sovrasfruttato e attualmente è più simile a un canale che a un ecosistema fluviale. Il WWF ritiene fondamentale una diffusa azione di rinaturazione per de-artificializzare oltre 38 km di canalizzazione per consentire il recupero di aree naturali di esondazione del fiume, la rimozione di una diga (a Parcines) e di 43 sbarramenti minori, per ripristinare la connettività ecologica lungo un tratto di 114 chilometri. Questi interventi contribuirebbero per lo 0,45% al raggiungimento dell’obiettivo dell’Unione Europea e per il 7,1% al totale della quota italiana, stimata a circa 1600 km.
Dal punto di vista sociale, il fiume ripristinato potrebbe fungere da spazio educativo all’aperto, dove i visitatori e gli abitanti dei luoghi attraversati potrebbero conoscere gli ecosistemi fluviali, gli sforzi di conservazione e le pratiche sostenibili. L’aumento del turismo – previsto in caso di recupero di naturalità del fiume a seguito della rimozione delle barriere – può portare allo sviluppo di attività commerciali locali, come eco-alberghi, servizi di visite guidate e negozi di artigianato locale.
Il ripristino del fiume dovrebbe anche rafforzare la resilienza della regione alle inondazioni. In passato, gli argini di protezione dalle inondazioni hanno richiesto molta manutenzione e talvolta hanno ceduto in caso di grandi alluvioni, come nel caso del Veneto nel 2010. Rimuovendo queste strutture e consentendo all’acqua di rimanere nelle pianure alluvionali del fiume, si ridurranno i costi dei danni e si forniranno dei cuscinetti naturali contro le inondazioni. Ripristinando le anse e le zone umide adiacenti, si aumenterà la capacità di immagazzinamento dell’acqua nel terreno, contribuendo così a ridurre i rischi di alluvioni. La rimozione delle barriere garantirà la continuità del trasporto dei sedimenti a valle, migliorando l’equilibrio delle condizioni morfologiche del corso d’acqua. Queste attività ridurranno in definitiva il rischio di inondazioni per un numero significativo di persone e di città adiacenti.
Infine, il ripristino della connettività fluviale può contribuire a mitigare gli impatti della siccità, contribuendo a rigenerare le falde acquifere e impedendo il prosciugamento dell’alveo.
Quella che sembrerebbe un’azione utopica porterebbe beneficio anche alla costa adriatica in deficit di sedimenti proprio a causa degli sbarramenti dei fiumi che sfociano in questo tratto di mare;: la costa veneta, tra l’altro, è una delle aree più minacciate dai cambiamenti climatici come recentemente evidenziato da uno studio internazionale.
La proposta del WWF Italia segue quella in corso di realizzazione del Po, peraltro proposta dal WWF e ANEPLA di Confindustria, e dovrebbe unirsi ad altre, da inserire nel Piano Nazionale di ripristino da redigere a breve, per garantire il contributo italiano alla riconnessione di 25000 km di fiumi in Europa.
“I decisori politici dovrebbero mostrare l’ambizione necessaria per rendere questi progetti una realtà per la natura, per le persone e per un’Europa più resiliente ai cambiamenti climatici e alla gestione della risorsa idrica”, ha dichiarato Isabella Pratesi, Direttore Conservazione di WWF Italia – Ripristinare la forma naturale, gli habitat e il corso dei fiumi non significa solo proteggere la natura, ma anche proteggere noi stessi. I fiumi in buone condizioni morfologiche ed ecologiche svolgono un ruolo vitale nel mitigare le inondazioni, prevenire la siccità e sostenere la biodiversità. Sono anche essenziali per lo sviluppo dell’economia, delle attività ricreative e per garantire acqua pulita necessaria alla vita e alle attività produttive”.
LE RICHIESTE DEL WWF PER I FIUMI:
Il WWF chiede ai Governi Nazionali di includere i progetti Rivers2Restore nei piani nazionali di ripristino, di facilitare le autorizzazioni, garantire i finanziamenti e aumentare gli sforzi di ripristino dei fiumi oltre questi progetti. Al livello europeo il WWF ha anche inviato delle richieste alla Commissione per sostenere e incoraggiare i governi nazionali per dare priorità al ripristino dei fiumi, anche istituendo un fondo per il ripristino della natura. Inoltre, ha chiesto Piani di Ripristino nazionali ambiziosi.
IL RAPPORTO R2R – “Rivers2Restore: how restored rivers strengthen our resilience to climate change”.
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