I numeri sulla produzione e sui consumi di energia elettrica del nostro Paese nella loro limpida dimensione descrittiva sono di una chiarezza disarmante. Per comprenderne la piena portata occorre prendere familiarità con una misura dell’energia poco nota: il Terawattora (TWh), che indica un migliaio di miliardi di Watt-ore.
Secondo dati forniti da Terna il nostro Paese nel 2023 ha realizzato una produzione netta di energia elettrica di 256 Terawattora. Nello stesso periodo abbiamo consumato 287 Terawattora. Consumiamo quindi molto più di quanto produciamo e quello che produciamo proviene in maggioranza (per quasi il 63% della produzione netta) da combustibili fossili climalteranti. Siamo quindi un Paese che inquina ancora molto e non è indipendente dal punto di vista energetico perché deve importare ulteriore energia dall’estero, e questo era ben noto.
GLI OBIETTIVI
L’azione del Governo, nel rispetto delle direttive europee, persegue dunque due obiettivi: incrementare la produzione di energia e incrementare la percentuale di energia “pulita” ossia quella prodotta con impianti di energia da fonti rinnovabili (gli impianti Fer) riducendo contestualmente quella prodotta con gas ad effetto serra.
Ma come stanno le cose a livello regionale? I dati sull’energia netta prodotta su base regionale e i relativi consumi non lasciano spazio a dubbi: l’Italia meridionale e insulare è il vero motore energetico del Paese! Non solo. Essa è anche l’area del Paese dove è più alta la percentuale di energia “pulita”: 41% del totale prodotto contro il 31% dell’Italia centrale e il 35% dell’Italia settentrionale. In altre parole, questa area del Paese produce molto più di quello che consuma e con modalità più sostenibili per l’ambiente. Il surplus va a beneficio delle altre regioni.
Questo dovrebbe far riflettere molto chi invoca un’autonomia differenziata. Nonostante poche eccezioni come il Piemonte, la Valle d’Aosta e soprattutto il Trentino che presentano surplus positivi, il quadro energetico complessivo dell’intera Italia settentrionale è un bilancio a tinte fosche, necessitando, oltre alla propria produzione, di ulteriori 33 Terawattora. La Lombardia e il Veneto sono le regioni messe peggio di tutte. Il loro bilancio è infatti fortemente negativo. Da sole queste due regioni, al netto dell’energia che producono, presentano un deficit corrispondente al 12,6% di tutta la produzione netta nazionale.
Situazione analoga, anche se meno accentuata presenta l’Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio, Marche) che ha bisogno, oltre alla propria produzione, di ulteriori 20 Terawattora. L’Italia meridionale ed insulare è l’unica area del Paese che con la sua produzione non solo soddisfa i propri consumi interni ma fornisce anche alle altre regioni, con il suo surplus, un contributo circa pari a quanto abbisognano Lombardia e Veneto. A contribuire a questo surplus sono prevalentemente Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia.
Il Governo, nel perseguire gli obiettivi di cui di riferiva all’inizio, finirà per accentuare questa situazione. Infatti, l’allocazione tra le varie regioni dei nuovi impianti di energia da fonti rinnovabili (Fer) che dovranno essere realizzati entro il 2030, secondo il decreto emanato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica sulle cosiddette “aree idonee”, non ha seguito un criterio proporzionale, che avrebbe richiesto di allocare proporzionalmente più potenza nelle regioni dove c’era più deficit di energia, né ha seguito il criterio di allocare di più laddove c’era più necessità di sostituire energia prodotta con combustibili fossili.
Il decreto ha allocato la maggior produzione da Fer nel Meridione d’Italia nonostante fosse l’unica area che genera un surplus di energia e avesse la maggior percentuale di energia “pulita” prodotta. La logica seguita dal Ministero è stata quindi quella di chiedere un contributo maggiore – a prescindere dalla raggiunta “autonomia” energetica locale regionale – alle regioni che potevano dare di più al Paese perché dotate di più risorse naturali. Un criterio condivisibile che guarda al sistema Paese nella usa interezza, per cui le regioni del Meridione, “più ricche” dal punto di vista energetico, donano alle regioni del Nord, “più povere” seguendo un criterio di solidarietà.
Peccato che contemporaneamente si opera per una autonomia differenziata che per altre materie va in verso opposto, mettendo in discussione questo principio di solidarietà e di mutuo soccorso tra i territori. Questo modo dissimmetrico di agire ha creato grossi malcontenti. Emblematico è l’esempio della Sardegna. La volontà del governo di richiedere alla regione ulteriore sforzo produttivo da Fer e di prevedere ivi anche impianti di Gas naturale liquefatto (Gnl) è stato letto dalla giunta sarda come una spoliazione; un tentativo di sottrarre dei territori locali (quelli necessari per la realizzazione dei nuovi impianti Fer e Gnl) a beneficio esclusivo di altre regioni senza che sia prevista, almeno attualmente, una diretta contropartita economica per il territorio. Ci si è chiusi di conseguenza in una difesa locale dando uno stop alle Fer.
Un atteggiamento del genere, certamente sbagliato, potrebbe essere però condiviso in futuro anche da altre regioni, in un contesto che spinge verso l’autonomia. Attenzione quindi. Parlare di autonomia differenziata potrebbe rappresentare un bagno di sangue per le regioni del Nord “più povere” energeticamente, con l’effetto di indebolire fortemente la già deficitaria situazione energetica del Paese.
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