Dossier/ Rotte commerciali e nuove strategie. Il Pacifico (1)

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Il 90% circa del commercio mondiale avviene per mare e l’Oceano Pacifico è uno dei più transitati. Quelle acque da secoli collegano paesi e culture: le rotte commerciali hanno modellato economie, società e la politica stessa dei paesi coinvolti. Ancora oggi la rotta Pacifica è un hub vitale per il commercio globale e paesi come Cina, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti svolgono ruoli chiave nel commercio globale. In questo dossier (il primo di una serie dedicata alla rotte commerciali marittime) si forniscono alcuni spunti sugli scambi via mare globali, concentrandosi in particolare sulle acque del Pacifico.

*In copertina Foto di Chuttersnap su Unsplash, di seguito una mappa della piattaforma Contested Ports

La strategia cinese in Perù

Nel novembre 2024 la Cina ha inaugurato a Chancay, in Perù, un nuovo porto strategico. La struttura è considerata dagli osservatori fondamentale per la ridefinizione delle rotte commerciali nell’Oceano Pacifico. Il progetto, inserito nella Belt and Road Initiative, ha comportato un investimento da 3,5 miliardi di dollari che ha come protagonista Cosco Shipping Ports, il conglomerato statale cinese che nel 2019 aveva acquisito il 60% della struttura per 225 milioni di dollari da una società mineraria polimetallica peruviana.

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Grazie a questo porto i tempi di navigazione tra Perù e Cina si riducono da 35 a 23 giorni, consentendo un’ottimizzazione dei costi logistici di più del 20%. Questa mossa cinese si inserisce in un contesto geopolitico delicato e complesso. Il prossimo presidente Usa, Donald Trump, ha preannunciato l’intenzione di applicare tariffe del 60% sulle merci che transiteranno per il porto di Chancay, considerandoli quindi prodotti di provenienza cinese.

Per la Cina, Chancay, fa parte del suo disegno di diversificazione delle rotte commerciali, che passa anche attraverso il fenomeno del “bathing base”, ovvero la rilavorazione e rietichettatura dei prodotti in paesi terzi. Il Perù, inoltre, è una scelta interessante perché la possibilità di triangolare le merci attraverso Giappone, Corea del Sud e paesi del Sud-est asiatico prima del transito per Chancay potrebbe complicare l’applicazione delle misure restrittive, creando un intreccio commerciale di difficile decodificazione per le autorità doganali. Secondo Scenari Economici, la strategia cinese appare quindi articolata su molteplici livelli strategici: ”da un lato, il rafforzamento delle relazioni commerciali con l’America Latina attraverso investimenti infrastrutturali significativi che consolidano la presenza economica di Pechino nella regione; dall’altro, la creazione di una rete logistica complessa e sofisticata che permetta di mitigare l’impatto delle politiche commerciali protezionistiche statunitensi, garantendo flessibilità e resilienza al sistema commerciale cinese”.

L’impatto potenziale di questa infrastruttura sul commercio internazionale potrebbe essere molto significativo. “Oltre a rafforzare i legami economici tra Cina e America Latina, il porto di Chancay potrebbe fungere da catalizzatore per l’espansione delle relazioni commerciali intra-regionali, promuovendo una maggiore integrazione economica del continente sudamericano nel sistema commerciale globale”.

Il crocevia Mar Cinese Meridionale

Il Mar Cinese Meridionale è un passaggio strategico per molte delle rotte che coinvolgono l’Oceano Pacifico: il 40% delle esportazioni di Pechino transitano per queste acque. Qui si trovano una serie di arcipelaghi di isole, perlopiù disabitati, ma che alimentano una forte competizione sul controllo delle acque, dovuta anche alla presenza di giacimenti di petrolio e gas naturale sui suoi fondaliTra i competitors troviamo la Cina, il sultanato di Brunei, il Vietnam, la Malaysia, Taiwan e le Filippine. La Repubblica Popolare Cinese, in particolare, rivendica quasi totalmente queste acque e, da circa dieci anni ha iniziato la costruzione artificiale di isole che vengono progressivamente militarizzate.

Questo atteggiamento cinese ha creato tensioni con alcuni degli attori in campo, tra cui le Filippine. Negli ultimi mesi, ad esempio, la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese ha incrementato la sua presenza intorno alle isole Spratly, l’arcipelago situato nel Mar Cinese Meridionale, al centro di aspre contese territoriali. Nonostante queste ricadano nella zona economica esclusiva delle Filippine, la Cina ne rivendica la sovranità. Le relazioni tra i due Stati, che restano grandi partner commerciali, sono peggiorate con la presidenza s Manila di Marcos Jr, che ha iniziato ad adottare una posizione molto più dura nei confronti delle rivendicazioni cinesi, avvicinandosi agli Stati Uniti. Secondo quanto rilevato dall’Istituto di Analisi Internazionali Iari, non bisogna infatti dimenticare il ruolo statunitense nella Regione. 

Nei piani americani, infatti, non solo Taiwan risulta importante. Il crescente rapporto con le Filippine si inserisce  nella strategia Usa di contenere l’ascesa cinese sui mari, ovvero la Prima Catena di Isole che si snoda dalle isole giapponesi di Okinawa, fino alle coste indonesiane, passando per la stessa Taiwan. “Nel giustificare la loro presenza – scrive l’Istituto Iari – ed interessi nell’area, gli USA affermano inoltre di farsi portatori della difesa di quello che ritengono un diritto fondamentale ed inalienabile per l’ordine internazionale, ovvero il diritto alla libera navigazione, che sarebbe minacciato dalla competizione nel Mar Cinese Meridionale, ed in particolare dalla militarizzazione cinese delle isole. Il principale obiettivo statunitense risiede nel contenere e limitare l’ascesa marittima della Cina entro appunto la Prima catena, per non permetterle di operare in maniera nelle acque del Pacifico, mettendo così a repentaglio la talassocrazia americana, fattore su cui si è sempre fondata l’egemonia della superpotenza a stelle e strisce”.

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