“Ma lo spacco nella giacca no”. Quando Palma Bucarelli e Irene Brin tagliavano i panni addosso ai maschi 

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Entrambe si ritenevano frutto (ma anche seme) di quella nuova stagione storica: dinamiche, indipendenti, di carattere, dominavano i salotti e la vita mondana ed erano costantemente sotto l’occhio dei media. Un percorso in cui la moda serve ad affermarsi e indirizzare il mondo femminile verso una maggiore consapevolezza delle potenzialità del proprio ruolo


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Anticipiamo un estratto del volume “Palma Bucarelli e la moda” di Maria Stella Margozzi, in uscita a gennaio 2025 (De Luca Editori d’Arte). Dirigente, storica dell’arte, Margozzi ha diretto il laboratorio di restauro della Galleria nazionale di Arte Moderna di Roma dal 1993 al 2005, è stata direttrice del Museo Boncompagni Ludovisi per le arti decorative di Roma, quindi direttrice del Polo museale regionale della Puglia e infine direttrice dei Musei Statali della Città di Roma. Studia il rapporto fra Bucarelli, la moda e la società artistica italiana del secondo Novecento da molti anni.


 

“Pettinature e umori successivi: eternamente bellissima, l’abbiamo vista in peplo greco ed in rigido tailleur; e sarà insomma piacevole ricostruire gli Usi e Costumi del secolo attraverso la eleganza sua e l’eterna amicizia di Ghitta” scrive Irene Brin, ne “Il mondo romano nell’obiettivo di Ghitta Carell”, pubblicato da “L’Illustrazione italiana”, Milano 25 giugno 1950, in relazione a Palma Bucarelli, potente direttrice della Galleria d’Arte Moderna. Quello che Brin riserva a Bucarelli nel suo articolo è decisamente un posto d’onore, poiché cita appena gli altri personaggi di tutto rispetto ritratti dalla Carell e rappresentati nella mostra (Gianna Manzini, Leonetta Cecchi Pieraccini, Emilio Cecchi, Antonio Baldini, Arturo Benedetti Michelangeli, Esmeralda Ruspoli, Ilda Guglielmi De Vulci Cini ecc.). Anche se non mancano tra gli anni Quaranta e i Settanta fotografie di Palma eseguite da fotografi alla moda e in occasioni mondane in cui la Direttrice indossa mises appariscenti e posa con artisti, intellettuali, politici, il triangolo che viene a crearsi tra Palma, Ghitta e Irene, ossia tra personaggio, fotografa e giornalista, anticipa una modalità di comunicazione che sarà dominante soprattutto nei decenni a seguire, ma che ha già il carattere di promozione mediatica del personaggio, che in questo caso è una donna e quindi per lei si usano i tòpoi femminili dell’abito e dell’acconciatura alla moda, la disinvoltura, l’intrinseca fotogenia, tutti elementi utili a comunicare la posizione di potere raggiunta da Palma all’interno del proprio ambiente.

La Moda serve. Serve a Bucarelli per affermarsi nel mondo della cultura. Serve a Brin per indirizzare il mondo femminile verso una maggiore consapevolezza delle potenzialità del proprio ruolo. Serve a Carell per caratterizzare il mondo delle celebrità del momento e farsene interprete. (…) I ritratti di Palma Bucarelli e di Irene Brin vennero esposti a via Frattina dal 25 giugno al 10 luglio 1960 e ricordati da Lorenza Trucchi su “La Fiera letteraria” del 10 luglio, sottolineando la bellezza delle due donne, ma anche l’importanza che entrambe avevano nel panorama culturale romano del momento e quindi la loro appartenenza al “gotha della capitale”. Brin e Bucarelli erano certo tra le donne più in vista di Roma, quelle “persone al vertice” nel campo dell’arte (così definite nell’articolo di Querel “Per il Gotha della capitale cento vetrine in via Frattina” nel giugno del 1960).

Ma non fu certo la mostra di via Frattina a procurare loro tale fama; questa era, infatti, già ben consolidata e non solo perché entrambe troneggiavano nel jet-set romano, l’una tra il giornalismo e la famosa Galleria dell’Obelisco aperta con il marito Gaspero del Corso, l’altra da quasi vent’anni a capo dell’unico Museo pubblico d’arte contemporanea, ma soprattutto perché entrambe erano consapevoli dell’importanza di essere presenti in quell’avvenimento, amplificato dal medium cartaceo, che a quei tempi era l’unico vero veicolo di informazione di massa. Irene Brin, scrittrice poliedrica, aveva non poco contribuito sulla carta stampata alla diffusione di idee, pareri, opinioni, tenendo a battesimo in qualche modo la nascita dell’opinionismo al femminile dalla seconda metà degli anni Quaranta, da quando, cioè, il voto alle donne aveva sollecitato una partecipazione più attiva alla vita culturale e politica del Paese.

Entrambe, Brin e Bucarelli, si ritenevano frutto, ma anche seme, di quella nuova stagione storica: dinamiche, indipendenti, di carattere, dominavano i salotti e la vita mondana ed erano costantemente sotto l’occhio dei media. Il ruolo delle donne nella società italiana soprattutto dagli anni Cinquanta è, infatti, decisamente uno degli argomenti preferiti dalla pubblicistica, che aumenta notevolmente anche quanto a numero di riviste dedicate alla loro visibilità sociale e questo specie nelle grandi città, dove si concentrano politica, cultura, mondanità. Roma, scoperta anche dal Cinema internazionale e dal conseguente turismo americano, diventa un teatro imperdibile per farsi notare e per trovare argomenti giornalistici.

La Moda è senz’altro uno dei più indicati per raccogliere “pareri” autorevoli, come dimostra un’inchiesta pubblicata nel gennaio 1954 da “La Settimana Incom Illustrata” (alla quale collabora da tempo la stessa Brin) dedicata all’eleganza maschile e per la quale si intervistano appunto le donne più importanti del momento. Bucarelli e Brin danno il loro contributo, trovando punti di convergenza, ma anche sostanziali divergenze. Palma sostiene che “gli uomini italiani sarebbero indubbiamente molto più eleganti degli uomini di altri popoli, se non fossero “troppo scamiciati””, lamentando così una degenerazione del buon gusto di un tempo.

Contemporaneamente ammette che qualche stravaganza consente di rompere la monotonia dell’abbigliamento maschile: “Ben vengano anche i famigerati calzini rossi” perché, secondo Palma: “non ha importanza l’abito in sé, o la camicia, o la cravatta, o il gilet. È invece molto importante come quel vestito, quella camicia, quella cravatta, sono portati”. E aggiunge: “Quindi chi può porti il cappello e, se la sopporta, perfino la bombetta, chi vuole porti pure i mocassini o le scarpe con la fibbia come sono di moda adesso, o la camicia aperto financo quelle magliette balneari che si vedono d’estate e che in genere danno a tutti, anche ai più giovani e ai più belli, l’aspetto di uomini in permesso. Però nessuno dovrebbe permettersi gli spacchi nella giacca “antiestetici, effeminati e volgari””.

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