‘A qualcuno piace caldo’, i cambiamenti climatici in scena al Kulturni • Il Goriziano

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Era il 1959 quando venne alla luce quello che ancora oggi è considerato uno dei più grandi capolavori del cinema hollywoodiano. Sotto la geniale regia di Billy Wilder, “A qualcuno piace caldo” portò al successo l’iconica Marilyn Monroe e il grande Jack Lemmon, ed è intersecando la colonna sonora e alcune sequenze del film che è andato in scena “A qualcuno piace caldo – Conferenza spettacolo sul clima che cambia”. La rappresentazione si è svolta sabato presso il Kulturni dom di Gorizia con la regia di Francesca Cella e l’interpretazione di Stefano Caserini, assessore all’ambiente, docente nonché divulgatore scientifico e autore di numerosi saggi sui cambiamenti climatici.

Un progetto finanziato dalla regione Friuli Venezia Giulia, al quale hanno collaborato l’Università di Udine, il comune di Ragogna, l’associazione Cycling Pangea e alcune classi dell’Isis D’Annunzio, dove lo spettacolo rappresenta il coronamento di un lungo percorso di Citizen science. «La chiave del progetto è l’acqua e i luoghi di cui trattiamo sono i fiumi Tagliamento e Isonzo», spiega il direttore regionale di Legambiente Fvg Michele Grego. Un’attività svolta in ambito scolastico e condotta sul territorio in una ciclopedalata che nel mese di giugno da Ragogna ha raggiunto Gorizia. Fra gli obiettivi dello studio sul campo, la creazione di indicatori ambientali transfrontalieri e lo studio degli iperoggetti che costituiscono i cambiamenti climatici, «viscosi e in grado di permearci in qualsiasi momento».

«Le realtà più ovvie sono le più complesse da comprendere – ha sottolineato il referente scientifico del progetto Francesco Visentin – I fiumi non possono essere disgiunti dalle loro complessità o dalla storia che portano con sé. Modifiche apportate da noi – tubi, dighe o captazioni – per rispondere al nostro bisogno di acqua, della quale si parla solo in caso di inondazioni e siccità; mentre il clima è una costante». E citando il testo di Jonathan Safran Foer “Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi” (2019) ha rimarcato la necessità di farsi protagonisti di un cambiamento necessario.

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La scenografia scarna presenta sul palco una serie di cubi numerati, a simboleggiare i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, primi fra tutti la sconfitta della povertà e della fame nel mondo. «Lo scorso anno è stato presentato un rapporto che ne verificasse i progressi – ha ricordato l’oceanografo Giuseppe Civitalese presente fra il pubblico – Il rapporto sostiene che andando avanti in questo modo non si potranno ottenere nemmeno nel 2050».

È il 1958 – quasi in contemporanea all’uscita del film – quando sulla montagna Mauna Loa delle Hawaii viene per la prima volta misurata la concentrazione di biossido di carbonio grazie al geochimico Charles David Keeling. A narrare la storia dei cambiamenti climatici è Caserini, introdotto dalle note di jazz della colonna sonora del film di Wilder, riprodotta al pianoforte dal compositore e docente Erminio Cella. Attraverso la nota “curva di Keeling” proiezioni e immagini mostrano «la danza della CO2» nei secoli fino ai giorni nostri, in cui si attesta a 423 parti per milione. Ricostruzioni ottenute con carotaggi antartici a 4mila metri di profondità, che hanno consentito di determinare la concentrazione di anidride carbonica fossile.

Era il 1896 quando la proiezione de “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” dei fratelli Lumière fece fuggire dalla sala gli spettatori in preda al terrore di venirne travolti. Mentre nasceva il cinema, il premio Nobel per la chimica Svante Arrhenius intuiva come un incremento dei livelli di anidride carbonica in atmosfera potesse produrre un innalzamento nella temperatura media del pianeta. Una scoperta anticipata in realtà dagli studi di Eunice Newton Foot, che permisero poi di comprendere il fenomeno dell’effetto serra. «Se non ci fosse, la temperatura del nostro pianeta corrisponderebbe a – 18 gradi e la Terra sarebbe una palla ghiacciata – specifica Caserini – I primi film erano rudimentali come la conoscenza della CO2 che se ne aveva. E si è verificato quello che Foot aveva immaginato e Arrhenius supposto».

Mentre la narrazione prosegue, la linea del tempo scorre insieme alle note dei brani di Duke Ellington, Bill Evans e Michel Petrucciani suonati al piano. Sul fondale viene proiettata una sequenza del Tg5 dei giorni nostri, dove il giornalista mostra una nave incagliata nel ghiaccio accennando a «pseudoteorie». «Molti errori dei mass media derivano dalla confusione fra tempo meteorologico e clima – prosegue Caserini – Per il clima, anche variazioni pari a decimi di grado hanno importanza». A destare preoccupazione è in primis la riduzione della calotta glaciale, che provoca un maggiore accumulo di energia. Una spirale mortale rinnegata da Donald Trump e da coloro ai quali «il clima piace caldo», che coesiste con le opposte tendenze dei quotidiani dai titoli catastrofici, come il sentenziale «Il mondo ha 99 mesi per salvarsi».

Un altro filmato ci conduce in Valmalenco, dove il ghiacciaio Fellaia si riduce giorno per giorno. «I dati dei ghiacciai sono indiscutibili», ribadisce Caserini, mentre un tweet del direttore de Il Foglio Claudio Cerasa ironizza contro «i talebani del clima», per «riconoscere i colpi di sole causati dall’idiotismo climatico». «Ai giornalisti piace raccontare che la causa del riscaldamento globale è il Sole – commenta Caserini – In realtà il Sole ha scarsa influenza; è l’effetto dei gas serra, il più importante». Mentre nel Sesto rapporto di valutazione sui Cambiamenti climatici si evidenzia come «virtualmente certo che le cause del riscaldamento globale siano le attività umane», contro l’evidenza si scaglia la disinformazione. Sulla quale il filosofo Harry Frankfurt ha scritto il saggio “Stronzate” (2005), riflettendo come «chi racconta stronzate non è né dalla parte del vero né del falso», ma accuratamente scelga le affermazioni per adattarle ai propri scopi.

Le ondate di caldo che ci stringeranno sempre più nella loro morsa porteranno anche tempeste, come tamburellano le note di “Stormy weather” suonate al piano da Celli, riconducendoci alla furia dell’uragano Ian in Florida (2022). A ricordarci il pericolo per le prossime generazioni è James Hansen con “Storms of my grandchildren” (2009), dove utilizza la metafora del dado truccato per riferirsi al clima “dopato”. Un gruppo di pinguini in fuga sul fondale ci narra delle tonnellate di ghiaccio perse ogni anno in Antartide; crepacci penetrati dall’acqua di fusione che favoriscono la formazione di giganteschi iceberg. Il più grande fu Larsen C, che nel luglio del 2017 prese a vagare per l’oceano fino a sciogliersi. La risposta da mettere in atto contro le sciagure climatiche consiste nell’affrancarsi dalla retorica dell’ormai-è-troppo-tardi, per divenire consapevoli del cambiamento necessario.

«Non dobbiamo pensare di bloccare qualcosa del pianeta, ma trasformarla – riflette Visentin – Il primo passo è la conoscenza. Questa crea consapevolezza, che va abbinata al credere alle informazioni che abbiamo». Mentre secondo Casarini «le lobby che hanno promosso la campagna di disinformazione sono i mercanti di dubbi – alludendo al libro di Naomi Oreskes ed Erik Conway – La scienza del clima sostiene che ormai dobbiamo rottamare il sistema fossile in tutto il mondo», conclude. Un tentativo di contrastare i cambiamenti climatici che possa restituire senso e dignità all’esistenza umana. Dove se non riusciremo, «nessuno è perfetto», conclude Osgood Fielding nello strepitoso finale del film. 

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