Nel Lazio i pazienti psichiatrici sono stati legati al letto 1500 volte in un anno

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“E io la durata delle contenzioni non gliela do!”. “Perché? Le altre Asl me l’hanno mandata”. “Non è vero! X mi ha detto che non le dava niente, Y pure non le manda niente”. Questa conversazione telefonica, tra chi scrive e il direttore di un Dipartimento di Salute Mentale (Dsm) del Lazio, è avvenuta a pochi giorni dalla scadenza dell’istanza di accesso agli atti (Foia) inviato a tutte le dieci Aziende Sanitarie della regione, per conoscere quante volte – e per quante ore o giorni – i pazienti psichiatrici sono stati legati al letto nell’ultimo triennio. Attraverso la legge sulla trasparenza ilfattoquotidiano.it ha cercato di quantificare l’utilizzo della contenzione meccanica negli Spdc (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) della regione. Una pratica che nell’immaginario collettivo è relegata a epoche manicomiali, ma che nonostante sia ritenuta dannosa dall’Oms e dalla World Psychiatric Association, è molto utilizzata nel 95% dei reparti di psichiatriaci degli ospedali italiani, anche grazie al silenzio che la circonda. In questo contesto, alcuni direttori di dipartimenti del Lazio si sono consultati per evitare di dare a ilfattoquotidiano.it dati fondamentali per il suo monitoraggio. Il problema del superamento della contenzione meccanica era stato posto dall’ex ministro della Salute Roberto Speranza che con l’Intesa Stato-Regioni siglata il 28 Aprile 2022 aveva destinato 60 milioni di euro ai Dipartimenti di Salute Mentale di tutta Italia (6,5 milioni al Lazio) per il suo “superamento entro il 2023”. Non solo l’eliminazione non c’è stata (e nemmeno una riduzione) ma nel Lazio non è stato attuato neanche il monitoraggio regionale di questa pratica, che l’Intesa ha stabilito come primo indicatore del raggiungimento dei risultati. La Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria del Lazio ha risposto al Foia affermando di “non essere titolare” dei dati sulle contenzioni, anche se poi si è impegnata a raccoglierli dalle singole Asl “per spirito di collaborazione, in relazione alle esigenze informative” del nostro giornale e ha fornito il numero di contenzioni effettuate nel triennio 2021-2023 (ma non la durata di queste).

Si resta legati anche per giorni: ma solo 4 Asl su 10 comunicano la durata – Dai dati ricevuti dalla Regione e da alcune Asl emerge che la quantità di episodi è aumentata negli ultimi anni, passando dai 1367 del 2021, ai 1392 del 2022, al 1445 del 2023 (in alcuni casi, in cui i dati forniti dalle singole Asl non corrispondono esattamente a quelli forniti dalla regione, quindi si è scelto di usare quelli della fonte dell’informazione ovvero le Asl). Essendo aumentati nel triennio anche gli accessi nei reparti psichiatrici, la percentuale di contenzioni sul numero di persone ricoverate resta intorno al 17,5%. Quello che non si sa, per la maggior parte di questi episodi, è se siano durati 10 minuti o 5 giorni. Un’indicazione si può avere solo attraverso i dati delle quattro aziende sanitarie che hanno accettato di condividere informazioni sulla durata delle contenzioni nel 2023. Nell’Asl Roma 1, l’ospedale San Filippo Neri ha tenuto le persone legate in media 55,5 ore – ovvero più di 2 giorni di seguito – e poco meno il Santo Spirito, lo storico ospedale sul Lungotevere, dove la durata media è di 39,6 ore. L’età delle persone è in media di 35-36 anni, mentre la percentuale di contenzioni sui ricoveri è poco meno della media regionale: rispettivamente il 14 e il 17 per cento. All’ospedale San Camillo De Lellis di Rieti le ore di contenzione media sono 36 con una percentuale sui ricoveri del 28,3%. L’Asl sottolinea che quasi un quarto delle contenzioni hanno riguardato “persone con misura di sicurezza con pericolosità sociale e necessità di ricoveri ripetuti”. Nella Asl Roma 2 (ospedali S. Eugenio, Sandro Pertini e San Giovanni) oltre la metà delle contenzioni durano più di 12 ore. L’Asl Roma 5 è l’unica del Lazio a pubblicare tutti i dati relativi alle contenzioni meccaniche sul proprio sito web: nell’ospedale Parodi Delfino di Colleferro si lega in media per 36,5 ore ma solo nel 6,5% dei ricoveri. Mentre al San Giovanni Evangelista di Tivoli la media è di 12 ore e avviene nel 10% dei ricoveri. Al SS Gonfalone di Monterotondo è di 16 ore ed è praticata nel 5% dei ricoveri. La percentuale era dell’11% nel 2022: nel maggio di quell’anno nel reparto psichiatrico di questo ospedale è morto Lorenzo D., 36 anni, che nel corso del ricovero era stato legato, anche se non si sa se era immobilizzato al letto al momento della morte, poiché operatori e famiglia hanno deciso di non parlare.

Quasi 50 bambini e adolescenti legati al letto. Bambin Gesù lega quasi sette volte più di di Via dei Sabelli – Nei reparti di neuropsichiatria infantile del Lazio si lega al letto, ma con grandi differenze tra gli ospedali. Se all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma nel 2023, il ricorso alla contenzione è stato ritenuto necessario in quasi l’8% dei 484 ricoveri, la percentuale scende all’1,2% dei 782 ricoveri avvenuti nello storico reparto di Via dei Sabelli, l’istituto di neuropsichiatria infantile celebrato dal film di Francesca Archibugi “Il grande cocomero”. Le contenzioni qui sono state 10 nel 2023, 6 nel 2022 e 2 nel 2021. La regione non ha fornito dati sulle eventuali contenzioni nell’altro reparto di neuropsichiatria infantile del Lazio, quello del Policlinico Gemelli.

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Al San Giovanni Addolorata c’è una contenzione in quasi la metà dei ricoveri. Percentuali alte anche in altri grandi ospedali romani – Nel 2023 la percentuale delle contenzioni raggiunge il 47% dei ricoveri al Spdc del San Giovanni Addolorata di Roma (124 contenzioni – di cui la metà superiori alle 12 ore), il 45% al Policlinico Umberto I, il 33% all’ospedale Santa Scolastica di Cassino, il 25% al Sandro Pertini e al Policlinico Tor Vergata (in questo ultimo ospedale, tra 2021 e 2022 le contenzioni rappresentavano addirittura il 60% dei ricoveri), il 23% al San Sebastiano di Frascati e allo Spaziani di Frosinone. Seguono l’ospedale dei Castelli e il Dono Svizzero di Formia (19,5%) e il S. Andrea (19,2%). L’Spdc del San Camillo Forlanini e quello del Grassi di Ostia – che fanno parte della Asl Roma 3 – hanno legato nel 15% e nel 14% dei ricoveri. Le percentuali erano rispettivamente del 23% e del 15% nel 2021 quando Wissem Abdel Latif, cittadino tunisino di 26 anni morì dopo essere rimasto legato al letto per oltre 4 giorni (con solo un’interruzione nel corso del trasporto dal Grassi al San Camillo). Nel 2023 sono state praticate negli Spdc di questi due ospedali 127 contenzioni meccaniche ma non ne conosciamo la durata perché il direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl Roma 3 Piero Petrini è tra coloro che si sono rifiutati di dare questo dato. “Nelle carte del processo si legge che Wissen e gli altri pazienti sono definiti come petulanti e polemici, contenuti per “stato di necessità”, ove si oppongano al farsi legare!”, afferma Yasmine Accardo, del “Comitato Verità e Giustizia per Abdel Latif”, sottolineando che nella documentazione “non vi è accenno a colloqui, percorsi di ascolto, stanze per la socializzazione e la riabilitazione” ovvero quelle attività che prevenendo l’esasperazione, facilitano un contenimento senza necessità di legare le persone. Il processo per la morte di Latif è ancora in corso: è stato rinviato a giudizio l’infermiere che ha fatto l’iniezione che ha provocato fisicamente la morte.

La testimonianza di un “ex slegatore”: “Spesso contenzioni non necessarie” – Lo psichiatra e scrittore Piero Cipriano da qualche mese ha deciso di lasciare il suo posto di lavoro in un Spdc di Roma dove ha sempre cercato di ridurre le contenzioni, “abbastanza inascoltato”. “Sarebbe importante ripassare le leggi – dice – sapere che non c’è scritto da nessuna parte che si possa legare le persone se non per l’articolo 54 del Codice penale ovvero ‭Stato di necessità‬, che tuttavia pretende ci sia “un pericolo attuale di un danno grave alla persona. Per ciò che ho visto in più di vent’anni, su decine di persone legate al letto forse solo nel 10% c’era un reale stato di necessità, dunque mettiamo 5-10 pazienti su 50-60 legati in un reparto ogni anno, tutti gli altri vengono legati per prassi, per ideologia, per medicina difensiva, per consuetudine, per stare tranquilli, per faticare di meno, per dormire la notte, perché il fine settimana si è da soli”. Per Cipriano: “Le contenzioni aumentano perché chi dirige, non ha nessun interesse reale per adoperarsi nel senso della loro radicale riduzione”.

L’inchiesta è stata realizzata anche grazie al supporto di #IJ4EU e Journalismfund Europe



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