di: Andrea Spinelli Barrile | 9 Dicembre 2024
I cosiddetti “mercati di frontiera”, secondo una nuova visione offerta dalla Banca africana di sviluppo (Afdb), offrono opportunità concrete per creare un impatto profondo e duraturo, sfruttando al contempo un forte potenziale di crescita e una classe di consumatori emergente: quella delle comunità di rifugiati.
Al giorno d’oggi, sono ben 45 milioni le persone di origine africana che, a cause di forza maggiore e non per volontà diretta, non vivono più nei loro luoghi di origine. 8,8 milioni di loro sono rifugiati al di fuori del continente africano mentre ben 34 milioni sono sfollati interni, a dimostrazione che è la stessa Africa a sopportare il peso di questo dramma umanitario.
Le crisi sempre più frequenti, che portano spesso intere generazioni, ma anche due-tre generazioni consecutive, a vivere da sfollati, hanno dimostrato nel corso degli anni che i limiti della risposta umanitaria in sostegno a queste persone sono tutti nell’assenza di una reale assistenza allo sviluppo. La Banca africana di sviluppo (Afdb) ha messo a punto diversi meccanismi di sostegno e, nel corso del tempo, ha compreso che le strutture di finanziamento più virtuose non sono quelle che guardano unicamente alle comunità ospitanti ma quelle che guardano agli stessi rifugiati “in quanto essi fanno parte del nuovo materiale economico del Paese ospitante”. Ma non solo: come ha detto Hassatou Diop N’Sele, vice presidente di Afdb, in occasione di un panel ospitato dall’Africa investment forum 2024 e incentrato proprio sulle opportunità di investimento per il settore privato nelle comunità di rifugiati, “lo sfollamento forzato è una questione umanitaria ma è anche una sfida per lo sviluppo” e proprio per questo che il finanziamento “a breve termine” per le crisi umanitarie non riesce ad assistere realmente la resilienza delle popolazioni sfollate. “La Banca” ha detto N’Sele, “lavora su modelli innovativi che creano un cambiamento: abbiamo lanciato e stiamo lavorando a un’iniziativa che si chiama Security index investment bond initiative” il cui scopo è quello di “costruire capacità istituzionali umane e non militari per garantire la sicurezza e mitigare le fragilità e il rischio, ma anche costruire investimenti e addirittura ricostruire investimenti infrastrutturali nei Paesi colpiti dall’insicurezza e dai conflitti”.
L’obiettivo è investire nel capitale sociale e nello sviluppo sociale anche in quelle aree, proteggendo le zone colpite dai conflitti e contemporaneamente proteggendo il capitale umano, e le risorse economiche, dei Paesi e delle comunità sfollate. “Il veicolo di investimento che proponiamo è diverso da quello attuale” ha detto N’Sele, invitando le grandi società di investimento e le istituzioni internazionali, così come i governi, a uscire da una visione antica dell’assistenza umanitaria, cambiando paradigma in tal senso: “Dobbiamo avere agilità e flessibilità: non può essere un peso amministrativo affrontare un problema immediato. Sviluppiamo competenze multidisciplinari per finanziare l’impiego delle risorse”. Ci sono persone, ha detto Raouf Mazou, assistente per l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr), “che vivono nei campi per 20-30 anni, senza speranza, e vediamo un drammatico aumento del numero di persone sfollate. Osserviamo anche che i sistemi che sono stati messi in atto finora per rispondere a questa crisi sono sovraccarichi, non adatti al contesto. Coinvolgere il settore privato è la strada da seguire: oggi abbiamo compreso che non è perché ti trovi in una situazione di sfollamento che smetti di essere qualcuno che può contribuire all’economia del paese o della regione che ti ha accolto”.
In questo, Afdb si pone come catalizzatore di investimenti privati da allocare in progetti imprenditoriali nelle comunità rifugiate: già oggi, le comunità di rifugiati offrono un contributo significativo alle economie locali, come il 3% del Pil dell’Uganda, e hanno determinato anche un aumento del 6% del reddito pro capite nella contea di Turkana, in Kenya, “mercati di frontiera” che rappresentano però “una nuova frontiera di investimento”: i recenti investimenti su larga scala da parte, ad esempio, della International finance corporation (Ifc) e della sudafricana Equity bank mostrano il potenziale di mercato di queste comunità: servizi finanziari, accesso a internet e comunicazione, agricoltura, ma anche edilizia, microcredito, agricoltura, il ventaglio di settori di investimento è ampio e sono diversi gli esempi concreti presentati durante il panel all’Aif 2024.
Il principale è il campo profughi di Kakuma, diventato un caso studio, dove un modello di investimento che interseca aiuti umanitari, creazione di posti di lavoro e miglioramento delle vite delle persone che vivono a Kakuma non ha solo fornito beni e servizi alla comunità ospitante e ai rifugiati ma, più di recente, anche aziende più grandi hanno cominciato a investire: per l’area di Kakuma, che ospita oltre 270.000 rifugiati e richiedenti asilo provenienti da tutta l’Africa e una popolazione della comunità ospitante di oltre 60.000 persone, è stato creato il Kakuma kalobeyei challenge fund (Kkcf) per aiutare i partner di sviluppo e le aziende a trasformare il loro modo di lavorare in contesti di sfollamento forzato: investire nella raccolta di dati di mercato, considerare le comunità di rifugiati e di accoglienza come un mercato eavere una presenza crescente sul territorio, per creare fiducia e gestire il rischio, sono le tre grandi lezioni apprese dal Kkcf. Attraverso finanziamenti e supporto tecnico, Kkfc ha supportato la creazione di oltre 370 posti di lavoro diretti e ha contribuito a fornire servizi essenziali come energia rinnovabile, assistenza sanitaria e accesso alle farmacie a oltre 100.000 rifugiati e membri della comunità ospitante, cosa che ha facilitato l’espansione di grandi aziende nell’area per la prima volta.
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