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Un miliardo di euro. Un miliardo di euro di occasioni mancate, di promesse non mantenute. Un miliardo di euro: a tanto ammonta, finora, l’importo dei progetti bocciati in Sicilia nell’ambito del Pnrr. I dati emergono da uno studio molto dettagliato di Legacoop e Consorzio Integra, effettuato in tutta Italia. Un monitoraggio che, dossier dopo dossier, arriva a conclusioni non di certo esaltanti per la Regione e la sua classe dirigente. I numeri cosa dicono? La Sicilia, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presenta 1.399 progetti proposti e un valore complessivo richiesto pari a circa 2,3 miliardi di euro. L’importo medio per i singoli progetti è di 1,7 milioni di euro. Tuttavia una quota significativa di progetti non sono finanziati, per mancanza dei requisiti o incapacità delle amministrazioni ad avviare la spesa: sono novecentodiciotto milioni di euro, quasi un miliardo, appunto. Per la cronaca, Palermo è la provincia con il numero maggiore di progetti presentati (trecento), per un valore richiesto di circa 413,5 milioni di euro. Segue Catania segue con 258 progetti del valore complessivo 437,5 milioni, mentre Messina presenta 285 progetti del valore complessivo di 411,2 milioni di euro.
Va anche detto che il monitoraggio riguarda solo alcuni settori di intervento del Piano, quelli più facilmente misurabili in termini di efficienza: edilizia scolastica, sanità ed edilizia comunale. La cifra dei progetti non finanziati o revocati, pertanto, considerando il piano nella sua interezza, è molto superiore. Non tiene conto, per dirne una, di un fenomeno che sta nascendo in queste ultime settimane: le inchieste della Guardia di Finanza che, come accaduto con il Superbonus e con il Reddito di Cittadinanza, scoprono che anche per il Pnrr c’è in campo un esercito di furbetti.
In questo caso stiamo parlando di imprese che hanno usufruito di benefici – nelle misure del Piano previste per i privati – senza averne titolo o non avviando mai i progetti. Così, per citare uno dei tanti casi, in provincia di Palermo i finanzieri hanno individuato finanziamenti illeciti per seicentomila euro di una famiglia di imprenditori nell’ambito per la “protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale”. I soldi erano stati incassati, ma i cantieri non erano mai partiti. Ad Agrigento, invece, è stata scoperta una truffa da un milione di euro di un imprenditore che aveva sfruttato i fondi previsti nell’ambito della “transizione digitale ed ecologica delle Pmi con vocazione industriale”.
Ma, tornando al pubblico, va anche aggiunto che, con l’approssimarsi delle scadenze sempre più stringenti legate ai vari step del Next Generation Eu, la cifra dei soldi ritirati non può che aumentare, dato che l’Isola sembra non tenere il passo imposto da Bruxelles. Un esempio? Trapani è una città, come tante altre in Sicilia, da sempre divisa in due per il passaggio della linea ferroviaria che blocca il traffico in centro, creando ingorghi paurosi a ogni chiusura dei passaggi a livello. E proprio per questo il capoluogo era stato destinatario di un finanziamento del Pnrr per la costruzione di un liberatorio (ma anche contestato) sottopasso ferroviario. La città si è molto divisa sull’opportunità di realizzare quest’opera, da un lato risolutiva, dall’altro lato molto invasiva per una città soggetta spesso ad alluvioni e allagamenti. Ma il problema è stato comunque risolto alla radice: il finanziamento è stato revocato «a causa dei significativi ritardi accumulati nelle fasi di lavoro fin qui realizzate, che non garantivano più il rispetto delle tempistiche previste per il completamento dell’opera». Lo ha comunicato nei giorni scorsi Rete Ferroviaria Italiana, Rfi (del gruppo Fs), che aveva anche aggiudicato il progetto per il primo lotto dei lavori per 12,5 milioni di euro. Ma, viste le lungaggini burocratiche, ha preferito dirottare i soldi su altri progetti più immediati.
Non sono gli unici soldi persi della Sicilia che si registrano in questi giorni. Altri trecentoquaranta milioni per investimenti strutturali previsti dal Fondo di Coesione sono stati revocati perché la Regione non ha mai avviato i cantieri. I progetti che non si potranno più realizzare, a meno di non reperire altre risorse, sono settantanove: quarantacinque quelli per i quali occorreva presentare gli impegni di spesa entro il 31 dicembre 2022; trentaquattro quelli che sono scaduti il 31 dicembre 2023.
Il presidente della Regione, Renato Schifani, da un lato si difende, dicendo che al momento del suo insediamento, nel 2022, le somme a rischio erano pari ad un miliardo di euro, e il suo governo ha cercato di recuperare il possibile. Insomma, con uno schema che si è visto altre volte, scarica la responsabilità sul governo precedente, quello dell’attuale ministro del Mare, Nello Musumeci (che ha dovuto ingoiare anche il rospo, in queste ore, di vedere il “nordista” Tommaso Foti prendere il posto di Fitto e diventare ministro del Sud). Dall’altro lato, Schifani annuncia l’ennesima inchiesta interna all’amministrazione regionale per individuare le responsabilità.
Ironia della sorte, a scorrere l’elenco dei settantanove progetti del Piano di Sviluppo e Coesione non più finanziati, molti riguardano proprio il contrasto alla siccità. Soprattutto, si tratta di lavori di manutenzione della rete idrica, quanto mai opportuni in un’isola dove l’acqua dispersa è pari a cento metri cubi al giorno per chilometro di rete, con perdite pari al 51,6 per cento rispetto al totale distribuito. Così, si dice addio, fintanto che non si trovano altri soldi da qualche altre parte, anche a fondi per la messa in sicurezza di dighe, la sistemazione di vasche e canali.
Quella della carenza d’acqua è un’emergenza che si fa via via sempre più drammatica. La chiusura della grande diga Ancipa, sui Monti Nebrodi, è stato un punto di non ritorno per le popolazioni delle province di Caltanissetta ed Enna. Presi dalla disperazione, negli ultimi giorni mille cittadini di cinque comuni della provincia di Enna, capitanati dai loro sindaci, hanno messo in atto una rivolta per l’acqua. Hanno occupato il potabilizzatore della diga dell’Ancipa e bloccato l’invaso e la condotta che da lì parte e va a Caltanissetta: chiedono più acqua per le loro case, e meno per quelle dell’altra provincia. Dalle parti di Caltanissetta fanno l’esatta richiesta, uguale e contraria: più acqua a noi e meno agli altri.
Ed è singolare pensare che nelle cronache internazionali la parola più utilizzata in questi giorni sia “tregua”. Ed è quella, fragilissima, in Libano. Ma “tregua” è anche la parola più utilizzata nelle cronache regionali, per quest’altra inedita guerra, quella dell’acqua. Perché le due fazioni hanno trovato un accordo e rinviato la lotta, per qualche giorno. Potenza dei mezzi della Protezione Civile? Merito della misure del governo regionale? Intervento della politica? No, semplicemente, è venuto giù un temporale, le temperature si sono abbassate, in montagna è spuntata pure la neve. La diga si è alzata di un bel po’ di centimetri, c’è acqua quel tanto che basta per dissetare tutti, qua e là, dichiarare la tregua e spostare la guerra più avanti.
Il governatore Schifani, che teme tantissimo le conseguenze delle rivolte popolari che possono nascere da questa emergenza, tira un sospiro di sollievo. E ringrazia la generosità delle nuvole. Da “piove, governo ladro” siamo passati a “piove, governo salvo”. Per ora.
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