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Il Partito Democratico lancia l’ennesimo allarme sulla situazione della sanità nella provincia di Asti, denunciando un aumento preoccupante della mobilità passiva, vale a dire il numero di residenti che si recano in altre regioni per ricevere cure mediche o effettuare visite specialistiche. Il consigliere regionale del Pd, l’astigiano Fabio Isnardi, sulla base dei dati relativi al 2022 e al 2023, evidenzia come la spesa dell’Asl AT per la mobilità passiva sia passata da 9.482.073 euro nel 2022 a 9.920.868 euro nel 2023, con un aumento del 4,6%.
«Il numero di chi sceglie o è costretto a curarsi fuori provincia è in costante aumento da anni, a dimostrazione che i servizi sanitari offerti sul territorio non soddisfano le reali esigenze dei cittadini – commenta Isnardi, già sindaco di Calamandrana – Per circa 210.000 abitanti ci sono un solo ospedale, un unico pronto soccorso, alcuni servizi distaccati nei centri maggiori e l’eterno cantiere del nuovo presidio sanitario della Valle Belbo. La richiesta di una sanità pubblica più efficiente che arriva dalle aree più periferiche non vuole essere la pretesa di un privilegio, ma una rappresentazione della realtà, tanto più in un territorio come quello astigiano formato da tantissimi piccoli comuni in cui sempre più spesso viene a mancare persino il fondamentale servizio del medico di base».
Anche il consigliere regionale del Pd Daniele Valle, evidenzia in Piemonte una situazione a «macchia di leopardo», con alcune aree che registrano performance positive e altre in forte difficoltà. Il Pd, attraverso le voci di Isnardi e Valle, chiede un intervento deciso della Regione per invertire la tendenza negativa della mobilità passiva. Secondo il partito, sono necessari investimenti mirati in nuove strutture e servizi sanitari, al fine di garantire ai cittadini astigiani un’assistenza sanitaria di qualità vicino a casa.
La risposta dell’Asl AT
Alle osservazioni del Pd, l’Asl AT precisa che «i dati evidenziano un incremento di spesa per l’Asl tra il 2022 e il 2023 di circa 439 mila euro, pari al 4,6%, dato sensibilmente inferiore alla media regionale (7%).
Guardando alla composizione della spesa, si evidenzia che il 50% circa è legato a ricoveri ordinari e prestazioni ambulatoriali specialistiche; a questi si aggiungono altre voci quali: cure termali, trasporti medici in ambulanza o in elicottero, distribuzione diretta di farmaci a pazienti in cura presso strutture extra Asl (in quest’ultimo caso l’Asl AT ottiene comunque un risparmio rispetto all’acquisto fatto dallo stesso paziente in farmacia).
I ricoveri ordinari in mobilità passiva – precisano dalla Direzione Sanitaria dell’Asl – non sono aumentati tra 2022 e 2023; le prestazioni prevalenti riguardano ortopedia e traumatologia (in particolare protesica all’anca e al ginocchio) nonché i successivi percorsi di riabilitazione in regime di ricovero. A queste si aggiungono interventi di chirurgia bariatrica (per la cura dell’obesità) non erogati dalla nostra Asl. La specialistica ambulatoriale vede un incremento di circa 200 mila euro che si deve principalmente a esami di biologia molecolare non effettuati dalla nostra Asl in quanto svolti da centri specialistici di riferimento; a questi si aggiungono esami di medicina nucleare (Pet) non erogati dalla nostra azienda». L’Asl astigiana aggiunge che l’azienda «ha un incremento del valore della mobilità attiva di 196 mila euro, pari al 7,2% (che è anche la media regionale). Tale dato contribuisce a dimezzare l’incremento della spesa per la mobilità passiva».
Le preoccupazioni dei sindacati
I dati diffusi dal Pd sulla mobilità passiva, vale a dire l’aumento dei residenti sotto l’Asl AT che si spostano fuori regione per effettuare visite specialistiche o interventi, hanno scatenato vari commenti da parte dei sindacati che già da tempo denunciano un declino dei servizi sanitari regionali. «Essendo una piccola provincia bisogna rendere appetibile l’Asl perché il professionista medico migra verso la grande provincia dove ha più sbocco – spiega Gabriele Montana, segretario provinciale del Nursind – Il Piemonte sta andando verso la medicina e l’assistenza territoriale, anche se oggi è molto carente, ma investire in questi settori vuol dire prevenzione e quindi evitare di curare troppo. Invece in Lombardia si sono messi in testa il modello degli ospedali privati. Purtroppo sull’Astigiano siamo costretti a ospedalizzare molto, perché in tanti si recano al pronto soccorso non trovando sufficienti strutture sul territorio. Chiediamo un direttore generale che venga, si fermi a lungo e governi questa azienda a 360°».
Non dissimili le preoccupazioni del segretario provinciale Nursing up di Asti e Alessandria Enrico Mirisola: «I dati dicono che c’è una parte della popolazione che va altrove nonostante al Massaia ci siano delle eccellenze, ma con rammarico sappiamo che sempre più infermieri e medici non scelgono di entrare nella sanità statale in favore della libera professione. Non essendoci abbastanza medici e infermieri si restringono gli spazi di visita e aumentano gli utenti costretti a rivolgersi altrove. Se poi aggiungiamo che, rivolgendosi fuori regione, passi prima di chi in quella regione vive, si capisce che il sistema così non regge. La politica nazionale – conclude Mirisola – non ha mantenuto le promesse fatte in epoca pandemica e oggi decide di assumere 10.000 infermieri indiani da portare in corsia anziché valorizzare quelli italiani».
Molto preoccupato per la mobilità sanitaria e le carenze nel settore è anche il segretario generale provinciale della Cgil Luca Quagliotti. «Su alcune specialità i tempi di attesa sono lunghi, in alcuni casi non ci sono proprio i professionisti perché non c’è mercato – osserva – Il Piemonte, complessivamente, dà meno servizi rispetto a quelli di cui la comunità avrebbe bisogno e l’accordo sulle assunzioni è fermo al palo. La verità è che c’è un continuo tentativo di svendere la sanità pubblica, ma quando cerchi i responsabili di queste scelte ti dicono che la colpa è sempre di chi è venuto prima: la giunta Cirio governa da 6 anni, ma forse la colpa di questo impoverimento della sanità è di Vittorio Emanuele II con la complicità di Cavour, anche se per Garibaldi non metterei la mano sul fuoco». E sulla mancanza di un direttore generale all’Asl AT, il giudizio di Quagliotti è tranchant: «Qui ad Asti hanno messo per anni direttori che sono durati come un gatto in tangenziale».
Toni meno drammatici arrivano da Stefano Calella, segretario generale aggiunto della Cisl di Asti e Alessandria. «Il discorso della mobilità passiva in Piemonte non è una novità, è qualcosa che già da anni viene messo in evidenza. La mobilità passiva interprovinciale è fisiologica, se pensiamo al sistema della salute come “sistema Piemonte” dove se devi fare visite il Cup ti propone un ventaglio di soluzioni non legate alla tua Asl. Può piacere o meno, – commenta Calella – ma così non c’è spreco di risorse. Preoccupa la mobilità interregionale verso Lombardia e Veneto dove ci sono specialisti e grandi primari, anche perché un saldo negativo sulla mobilità sanitaria di 8 milioni di euro grida vendetta. Come Cisl non siamo contro la sanità privata, ma solo quando è sussidiaria a quella pubblica, non quando la sostituisce. Speriamo che dopo gli investimenti del Pnrr, con l’aumento della sanità territoriale, anche le prestazioni verso il privato rientrino nel pubblico».
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